Concessa l’estradizione: Micciché torna in Italia

CARACAS – Concessa l’estradizione. E’ terminata, cosí, l’avventura venezolana di Aldo Micciché, il noto faccendiere apparentemente legato al Clan Piromalli, fino a ieri agli arresti domiciliari. Il Tribunale venezuelano competente ha definitivamente dichiarato procedente la sua estradizione. Quindi, il “faccendiere di Gioia Tauro” – ha precisato la Corte –  “rimarrà agli arresti domiciliari fino al momento della consegna alle autorità italiane»

Aldo Micciché è accusato di associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ”Cent’anni di storia” contro le cosche Molè e Piromalli di Gioia Tauro, e deve già scontare una pena maggiore ai 20 anni per “associazione a delinquere di stampo mafioso”.

Secondo l’accusa, Miccichè aveva instaurato i suoi rapporti con i Piromalli quando viveva in Calabria, in particolare con Antonio, figlio del boss Giuseppe. Rapporti che sono proseguiti anche dopo. Fu a lui, secondo la Dda, che la cosca si rivolse per cercare di ottenere l’attenuazione del regime di 41 bis per il capo della famiglia, Giuseppe. Un progetto che, secondo quanto scritto nel provvedimento restrittivo, fallì per ”l’impossibilità dei referenti politici e istituzionali contattati di affrontare e risolvere la situazione per tutto un insieme di problemi dovuti sia alla paura dei soggetti di muoversi in un terreno così pericoloso, e sia alle difficoltà giudiziarie del Ministro della Giustizia”. Miccichè, inoltre, assecondò il progetto della cosca che voleva far ottenere l’immunità ad Antonio Piromalli con il conferimento di una funzione consolare per conto di un qualsiasi Stato estero. Quando un cugino di Antonio Piromalli gli illustrò il progetto, Miccichè, intercettato, risposte: «Questo lo possiamo fare».

Il poliedrico faccendiere calabrese era stato arrestato il 24 luglio dell’anno scorso in esecuzione di un mandato di cattura per l’estradizione emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria.  Al momento dell’arresto era nell’isola di Margarita e, come un qualunque turista, era in un supermarket, in un noto centro commerciale, facendo la spesa. Da allora, attraverso cavilli vari, era riuscito a sfuggire all’estradizione; estradizione confermata ora dal Tribunale e che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.

Il “Faccendiere di Gioia Tauro” era riuscito ad evitare il rientro in Italia grazie ad una serie di cavilli legali legati alla sua nuova nazionalitá: la venezolana. Il Magistrato Héctor Coronado Flores, nel giustificare la decisione della Tribunale, ha spiegato che l’acquisto della nazionalitá venezolana, qualora questo avvenga dopo aver commesso i reati per i quali si é  condannati in altri paesi, non é giustificazione sufficiente per negare l’estradizione.

La nostra sede diplomatica a Caracas, ha riferito alla “Voce” il dottor Paolo Mari, primo Segretario d’Ambasciata, non è stata ancora informata ufficialmente. Una volta ricevuto la comunicazione dalle autorità venezolane, si attiverà per completare il percorso burocratico che dovrebbe concludersi con l’arrivo in Venezuela di due agenti di Polizia che scorteranno il facendiere calabrese in Italia, così come è accaduto recentemente per l’estradizione di Salvatore Bonomolo. Come si ricorderà, Salvatore Bonomolo, esponente di spicco della ‘famiglia’ di Palermo centro accusato di associazione mafiosa ed estorsione, fu arrestato durante un’operazione congiunta eseguita dalla Sezione Catturandi della Questura di Palermo, dal Servizio centrale operativo della polizia dell’Interpol e dalla Guardia Nazionale venezolana. Bonomolo, dopo quasi 6 anni di latitanza, è stato consegnato una quindicina di giorni fa a due agenti della Polizia italiana che lo hanno riaccompagnato in Italia.

Il “Faccendiere di Gioia Tauro”, il cui nome é assai noto in Italia per le sue relazioni con Marcello dell’Utri e i suoi presunti collegamenti con il clan Piromalli, balzó agli onori della cronaca, in seno alla nostra Collettivitá, in seguito ad una intercettazione telefonica in cui, conversando con Filippo Fani – collaboratore di Barbara Contini – confessava di aver dato fuoco a migliaia di schede elettorali per evitare il trionfo di quella che riteneva la “candidata comunista”. Durante la conversazione con Filippo Fani, il Micciché faceva anche riferimento a due noti esponenti della Collettivitá, presunti suoi complici. Fu grazie a questo “faló” che alla candidata del Venezuela, Mariza Bafile, fu negata la possibilitá di occupare nuovamente il suo scranno nel Parlamento italiano, e di continuare a lottare pre la difesa degli interessi degli italiani dell’America Latina e del Venezuela in particolare.

Chi permise ad Aldo Micciché l’accesso alle schede elettorali e chi lo aiutó ad incenerirle? A chi dava fastidio la candidatura di Mariza Bafile? A queste domande, ora, potrá dare risposta la magistratura italiana. Una volta in Italia, infatti, gli inquirenti potranno interrogare Aldo Micciché e far luce su quanto accaduto in Venezuela e non solo. La giustizia italiana, cosí lo dimostrano le ultime vicende che mantengono il mondo politico in fibrillazione, sará pure lenta ma é inesorabile.

A.P.

 

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