L’America riparte ma resta spettro default

NEW YORK. – “Non vi piace il presidente? Basta vincere le elezioni”. All’indomani del voto in extremis con cui il Congresso americano ha posto fine allo shutdown ed evitato la catastrofe del default dello Stato federale, Barack Obama si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Parlando alla nazione (poco prima di ricevere alla Casa Bianca il premier italiano Enrico Letta) spiega che alla fine del drammatico braccio di ferro delle ultime settimane “non ci sono vincitori”. Ma il presidente americano, forte di un successo indiscutibile sull’ala più oltranzista dei repubblicani, lancia quello che più che un appello suona come un monito: “Basta minacciare il governo come fosse un nemico”. Basta ricatti e ripicche senza costrutto e crisi politiche che bloccano l’attività delle istituzioni. “Bisogna lavorare insieme e adottare un approccio più equilibrato”. Anche perchè, sottolinea con forza, “i cittadini americani sono stufi” e “bisogna riconquistare la loro fiducia”. Quella fiducia che è oramai crollata ai minimi storici, soprattutto nei confronti del Congresso.

Mentre Obama si rivolge al Paese (per la prima volta dopo lo scampato pericolo dello storico crack della prima economia mondiale) centinaia di migliaia di dipendenti pubblici federali colpiti dallo shutdown sono di nuovo al loro posto di lavoro, dopo sedici giorni di riposo forzato. Riceveranno un indennizzo per i soldi non percepiti nelle ultime due settimane. Tutto è rapidamente tornato alla normalità. Gli uffici e i servizi governativi, i musei, i parchi nazionali, gli zoo che il primo ottobre avevano dovuto chiudere per mancanza di personale sono ora riaperti. E così non resta che contare i danni di questa ‘serrata’ federale, che Standard&Poor’s ha quantificato in 24 miliardi di dollari. “Sono stati inferti alla nostra economia danni assolutamente non necessari”, tuona Obama, spiegando come la paralisi dello shutdown sta già provocando un rallentamento della crescita.

La ripresa subirà una frenata (quantificata dagli esperti almeno nello 0,6% del pil). Ma le conseguenze potrebbero essere peggiori se a Washington si dovesse continuare ad alimentare un clima di incertezza politica e sul fronte delle politiche di bilancio. Non sfugge a nessuno – tantomeno ai mercati – che l’accordo raggiunto in Congresso tra i democratici e “i repubblicani responsabili” – come li ha chiamati Obama – è di cortissimo respiro. Un compromesso minimo, che prevede la riapertura dello Stato federale fino al 15 gennaio e il finanziamento del debito pubblico fino al 7 febbraio. Da subito si aprirà quindi una nuova partita, con lo spettro del default che resta sullo sfondo. Obama si rivolge appunto ai ‘responsabili’ nelle fila di un Grand Old Party uscito con le ossa rotte dal lungo braccio di ferro, soprattutto alla Camera dei Rappresentanti, dove i repubblicani hanno la maggioranza. I Tea Party, in particolare, sono sotto processo all’interno del loro stesso partito.

Il presidente auspica che nelle prossime settimane si possa ragionare in maniera più serena, indicando chiaramente gli obiettivi che il Congresso si deve porre. Innanzitutto il varo di una finanziaria 2014 che non può più aspettare. Poi la tanto attesa riforma dell’immigrazione. E i mercati, sembra dire Obama, stiano tranquilli: “La buona fede e la reputazione degli Stati Uniti è fuori discussione”.

(Ugo Caltagirone/ANSA)

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