Amici della Siria. Assad ostacolo alla conferenza di pace

LONDRA. – L’atmosfera è quella di un meeting d’urgenza, sebbene il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte sottolineato che il compito della diplomazia internazionale – riunita nuovamente oggi a Londra sotto il formato ‘Amici della Siria’ – è di “sostegno”, il massimo possibile. Ma è responsabilità delle parti mostrare buona fede e volontà di sedersi al tavolo dei negoziati. Tavolo che non c’è ancora ma al quale, questo l’appello forte dalla capitale britannica, l’opposizione siriana deve arrivare compatta. L’obiettivo è Ginevra 2 e l’auspicio è che la conferenza di pace possa tenersi a novembre. E’ scritto nero su bianco nel comunicato finale dell’incontro al Foreign Office. Ma per l’opposizione il nodo resta il ruolo del presidente Bashar al Assad: il rais deve andarsene, e questo deve essere l’obiettivo di Ginevra 2 se si vuole che l’opposizione partecipi, ha avvertito il capo dell’opposizione siriana Ahmad Jarba. “Assad non avrà alcun ruolo in un futuro governo in Siria”, ha ripetuto il ministro degli Esteri britannico, William Hague, che ha ospitato l’incontro. E lo ha sottolineato anche John Kerry, spiegando che i rappresentati degli 11 Paesi riuniti a Londra ribadiscono che la soluzione al conflitto può essere solo attraverso una transizione politica. Quella ‘intravista’ nella prima – e ad oggi unica – tornata di colloqui a Ginevra nel giugno del 2012: la formazione, con mutuo consenso, di un governo di transizione. Primo e imprescindibile passo per la soluzione del conflitto che, ha detto il capo della diplomazia americana, “non si risolverà sul campo di battaglia”. Il rischio, ha detto Kerry, è “che si continui a combattere e combattere”, che si continuino a contare morti su morti, fino al pericolo di un’implosione del Paese con la conseguente destabilizzazione dell’intera regione. Ricordando che quella in corso è “una tragedia, probabilmente la peggiore del momento”, Kerry ha insistito sulla responsabilità dell’opposizione, legittimo interlocutore, di presentarsi unita per interromperla. Con l’aiuto della comunità internazionale, certo. Ma non basta. Dalla stessa stanza dove una frase proprio di Kerry sull’eventualità che Assad consegnasse il suo arsenale di armi chimiche ha di fatto interrotto i piani militari di intervento militare in Siria, il segretario di Stato Usa ha precisato: eliminare le armi chimiche non significa eliminare la crisi in Siria. “Non cambia la situazione per le persone che si trovano sotto il fuoco di Assad”, ha ammonito, ribadendo il massimo impegno sul piano umanitario, con la necessità immediata di consentire accesso sul territorio. Poi Kerry ha ridimensionato le voci di divisioni tra Washington e Riad trapelate in queste ore, dopo che il capo dell’intelligence saudita ha puntato il dito contro la politica americana nella regione del Golfo e del Medio Oriente, minacciando ripercussioni. Riad “è con noi”, ha detto il numero uno del Dipartimento di Stato, riferendo di colloqui con il ministro degli Esteri saudita, il principe Saud al-Faisal, ieri a Parigi e oggi a Londra. Colloqui che Obama gli ha chiesto di condurre e che sono risultati “molto, molto costruttivi”.

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