La Turchia compie 90 anni in bilico fra Ataturk e Erdogan

ANKARA. – La Turchia celebra questa settimana i 90 anni dalla fondazione, sulle rovine dell’Impero islamico ottomano, della Repubblica che Mustafa Kemal Ataturk volle laica e secolare. Ma proprio oggi tre deputate del partito islamico Akp del premier, Recep Tayyip Erdogan, hanno annunciato che entreranno in parlamento indossando il velo islamico, rompendo cosi l’ultimo tabù imposto dal “padre della patria”. Un simbolo forte del bivio davanti al quale si trova oggi la Mezzaluna, fra un Islam politico e neo-ottomano cui sembra puntare Erdogan e il recupero, almeno in parte, dell’anima europea e laica del 1923. O meglio fra Ataturk e Erdogan, i due statisti che più hanno segnato il Paese nell’ultimo secolo. Ma che non hanno nulla in comune. “I 10 anni di governo di Erdogan e la sua ideologia sono la reazione contro la spinta progressista verso una nuova società venuta da Ataturk”, rileva Rasit Kaya, docente di scienze politiche all’Università Odtu di Ankara. Non a caso i ragazzi di Gezi Park che sono scesi in piazza per contestare l’esercizio autoritario del potere di Erdogan e la sua corsa verso l’Islam si sono dichiarati i “soldati di Ataturk”. Tre elezioni cruciali in un anno faranno pendere il Paese da una parte o dall’altra: le amministrative a marzo, in estate le presidenziali, poi le politiche. E se l’Akp di Erdogan vincerà molti prevedono che il Paese, senza contropotere interno, si avvierà verso una svolta islamica. La partita sembra però aperta. E i toni già infiammati. Il capo dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, del Chp, ha accusato Erdogan di essere “un dittatore”. I sondaggi usciti dopo la grande rivolta dei giovani “europei” di Gezi Park in giugno, e la feroce repressione decisa da Erdogan, davano l’Akp in calo di più del 10% – per la perdita di molti elettori liberal – rispetto al 50% delle ultime politiche. E non escludevano un successo dei due grandi partiti kemalisti, il progressista Chp e il nazionalista Mhp in caso di accordo elettorale (per ora però ancora lontano). La prima battaglia cruciale sarà quella delle comunali di Istanbul. La megalopoli del Bosforo, 17 milioni di abitanti, ora a guida Akp, raccoglie quasi un quarto della popolazione turca, pesa metà dell’economia nazionale e ne è la vetrina sul mondo. Un successo dell’opposizione metterebbe il ‘sultano’ di Ankara – che sarà candidato poi a capo dello stato – in difficoltà. Sul grande tris elettorale peserà una grande incognita, lo stato dell’economia. Da quando è al potere nel 2002 il “sistema Akp” ha garantito stabilità politica e sviluppo economico, con tassi di crescita “cinesi”, fino a tre anni fa. La Mezzaluna ora è la 17/ma economia mondiale. Ma la macchina economica turca rallenta. Gli analisti avvertono del rischio di una ‘bolla’ alla spagnola, gonfiata dal forte indebitamento pubblico e privato. La produzione industriale è scesa dell’1,4%, la borsa del 12%, la lira ha perso su euro e dollaro, sono rallentati gli investimenti stranieri. E sul voto potrebbe pesare anche la guerra in Siria, con le sue possibili spinte destabilizzanti, ora che Al Qaida ha messo radici sui confini. Finora tollerata, se non aiutata, da Erdogan in chiave anti-Assad, accusa l’opposizione.

(Francesco Cerri/ANSA)

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