Napolitano, periodo duro e amaro, ma andiamo avanti

ROMA. – Un periodo duro per l’Italia, pieno di ”incognite” e costellato da diverse ”amarezze” che vanno comunque superate con la forza della ”coerenza” e il coraggio della ”fermezza”. Poche parole dal presidente della Repubblica per tratteggiare anche ‘oltretevere’ i malanni dell’Italia, gli sforzi e le difficoltà, anche personali, per traghettare il Paese al di là delle secche della crisi. Occasione dello sfogo di Giorgio Napolitano è stata una cerimonia alla prestigiosa Pontificia Università Lateranense a san Giovanni dove il capo dello Stato ha ricevuto la medaglia d’oro dell’ateneo del Papa alla presenza del presidente del Senato, Pietro Grasso e del vicario per la diocesi di Roma e Gran cancelliere dell’Università Lateranense, il cardinale Agostino Vallini. Nessun riferimento all’attualità politica e tantomeno al caso Cancellieri, che sembra non avere mai fine dopo che M5S ha confermato che chiederà la mozione di sfiducia per il ministro della Giustizia anche al Senato. Ma il presidente ha voluto dare un segnale della sua determinazione facendo capire che nessuno lascherà le vele, tantomeno il Governo Letta. ”Il cammino del Paese è tutt’altro che facile e va percorso con la massima coerenza, con fermezza e apertura, viste le incognite e gli impegni del periodo che stiamo vivendo”, ha detto Napolitano prendendo la parola a sorpresa poco prima di lasciare l’università Lateranense. Con ancora in mano la medaglia d’oro dell’Ateneo appena ricevuta il capo dello Stato ha comunque fatto capire quanto le difficoltà del Paese – o forse le continue risse tra forze politiche – lo colpiscano nel profondo: ”un periodo che comporta anche amarezze, comunque ampiamente riconosciute da risarcimenti come questo”, ha proseguito Napolitano riferendosi all’accoglienza ricevuta nella più famosa università cattolica. Non a caso il padrone di casa, mons. Enrico Dal Covolo, ha commentato la “sintonia profonda” che intercorre tra papa Francesco e il presidente Napolitano. Sintonia rafforzatasi dopo la recentissima visita di Bergoglio al Quirinale. Una vicinanza umana e morale, ha aggiunto il rettore, che si coglie anche ”in quella comune sobrietà” che caratterizza sia il papa che il presidente. ”Questa sobrietà è il segno che ci si vuole concentrare sull’essenziale”, cioè ”il recupero dei valori autentici”. ”E le due istituzioni, Chiesa e Repubblica italiana collaborano insieme in vista di questo obiettivo”, ha garantito il rettore.

Allo stesso tempo anche papa Francesco ha fatto sentire la sua parola. La disoccupazione di tanti giovani, per le società di oggi, è “un’ipoteca per il futuro”. E chi opera nell’economia e nella finanza – un mondo nel quale oggi “solidarietà è quasi una parolaccia” – non deve diventare “schiavo” dell'”idolo denaro”, ma farsi guidare da una “coscienza” che metta al centro la “dignità della persona”: proprio quella dignità che “cammina di pari passo” con il lavoro. Contiene un forte appello contro l’emarginazione di chi resta senza lavoro – anche con un sostegno esplicito al mondo della cooperazione come possibile risposta – il videomessaggio di papa Francesco trasmesso nell’auditorium della Gran Guardia a Verona, in apertura del terzo Festival della Dottrina Sociale della Chiesa. Il Pontefice lancia nuovamente l’allarme contro l’esclusione di giovani e vecchi. “Un popolo che non ha cura dei giovani, dei vecchi non ha futuro”, afferma. “Oggi i giovani e i vecchi vengono considerati scarti perché non rispondono alle logiche produttive in una visione funzionalista della società, non rispondono ad alcun criterio utile di investimento”, osserva il Papa. Invece, “non ci può essere sviluppo autentico, né crescita armonica di una società se viene negata la forza dei giovani e la memoria dei vecchi”. E il dramma principale è proprio quello dell’altissima disoccupazione giovanile. “Pensiamo alla percentuale dei giovani che in questo momento sono senza lavoro – sottolinea il Papa: in alcuni Paesi si parla del 40 o più per cento di giovani senza lavoro. Questa è un’ipoteca, è un’ipoteca per un futuro. E se questo non si risolve presto, è la sicurezza di un futuro troppo debole o un non-futuro”. Francesco, anche a tale proposito, lancia un forte richiamo al mondo dell’economia e della finanza. “Occorre coraggio, un pensiero e la forza della fede per stare dentro il mercato, per stare dentro il mercato, guidati da una coscienza che mette al centro la dignità della persona, non l’idolo denaro”, afferma. “Chi opera nell’economia e nella finanza – aggiunge – è sicuramente attratto dal profitto e se non sta attento, si mette a servire il profitto stesso, così diventa schiavo del denaro”. Secondo il Pontefice, la Dottrina sociale della Chiesa dev’essere una sorta di antidoto, che dia anche “la forza per promuovere con il lavoro una nuova giustizia sociale”. Essa, ad esempio, “non sopporta che gli utili siano di chi produce e la questione sociale sia lasciata allo Stato o alle azioni di assistenza e di volontariato”. Ed è qui che la “solidarietà” diventa una “parola-chiave”, laddove “per l’economia e il mercato, solidarietà è quasi una parolaccia”. Il Papa ha parole positive, in particolare, per il mondo della cooperazione. “La solidarietà va applicata anche per garantire il lavoro”, spiega, e “la cooperazione rappresenta un elemento importante per assicurare la pluralità di presenze tra i datori del mercato”. Oggi essa “è oggetto di qualche incomprensione anche a livello europeo”, ma Bergoglio ritiene che “non considerare attuale questa forma di presenza nel mondo produttivo costituisca un impoverimento che lascia spazio alle omologazioni e non promuove le differenze e l’identità”. Il Pontefice ricorda persino una conferenza fatta dal padre nel 1954 in Argentina – lui aveva 18 anni – “sul cooperativismo cristiano e da quel tempo io mi sono entusiasmato con questo, ho visto che quella era la strada”. “E’ proprio la strada per una uguaglianza, ma non omogeneità – conclude -, una uguaglianza nelle differenze”.

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