Letta: “Crescere senza sfasciare i conti”

BRUXELLES – “Ho la responsabilità di tenere la barca Italia in equilibrio e voglio che ci siano strumenti per la crescita senza sfasciare i conti” anche perché solo così l’Italia non avrà “nulla da temere” da Bruxelles. Enrico Letta, al suo arrivo al Consiglio europeo, si concede alle domande dei giornalisti. Appare evidente la voglia di togliersi diversi sassolini dalle scarpe e replicare alle critiche piovute da Confindustria e dal suo presidente. Giudizi che nel governo reputano non solo ingenerosi, ma anche sbagliati.

– I sindacati hanno mostrato maggiore senso di responsabilità – si sfoga una fonte di governo.

Al presidente del Consiglio non deve proprio essere piaciuto quello che considera un ‘attacco’ da parte di Giorgio Squinzi. Nel colloquio dell’altro giorno, il premier aveva spiegato al capo degli industriali la ratio della manovra. Così come la necessità di prevedere una clausola di salvaguardia relativa al fondo per il cuneo fiscale. I soldi della spending review, aveva assicurato Letta, andranno a ridurre il costo del lavoro, ma dovevamo dare un segnale all’Europa. Perché il premier è stretto fra due fuochi: internamente le parti sociali e i partiti che premono, protestando contro una manovra a loro giudizio timida e insufficiente. Esternamente deve fronteggiare quegli “ayatollah del rigore” (come li ha definiti qualche settimana fa) che non si accontentano mai del risanamento di bilancio italiano. Ma siccome il governo non intende rinunciare a quel ‘bonus’ promesso dall’Europa ai Paesi virtuosi, l’unica via è cercare di tenere il deficit sotto il 3%.

– Non è un “capriccio”, ma una scelta dettata da un’attenta analisi dei vantaggi e degli svantaggi – spiega una fonte diplomatica.

Nelle parole del premier, al suo arrivo al summit Ue, si coglie tutta l’amarezza di chi è convinto che la legge di stabilità, viste le condizioni iniziali, sia un buon compromesso fra l’esigenza di tenere i conti in ordine e l’obbligo di dare un po’ di ossigeno all’economia.

– Nessuno ha la bacchetta magica e nessuno stampa moneta – ha rimarcato Letta, aggiungendo piccato:

– E penso che gli imprenditori della Confindustria dovrebbero essere i primi a sapere che tenere i conti a posto vuol dire far calare gli spread che oggi sono al minimo da due anni e mezzo a questa parte, consentendo loro di finanziarsi a tassi inferiori. Non solo. Gli imprenditori – attacca ancora – dovrebbero rendersi conto che perché ci sia crescita ci devono essere complessive condizioni: gli interessi bassi e le tasse basse; la legge di stabilità comincia a far scendere le tasse, gli ulteriori interventi arriveranno dall’anno prossimo.

Come a dire: quest’anno la strada era obbligata, l’anno prossimo – grazie alla ripresa e alla nuova maggioranza – sarà tutto diverso. Sempre che il governo duri: a palazzo Chigi continuano a ostentare serenità. Nemmeno le ultime bordate di Renzi contro l’emendamento di Ncd sullo slot machine sembra far alzare l’allarme oltre il livello di guardia.

– L’unico modo per assicurarci un futuro è fare le cose e cercare di farle bene – è il mantra che ripetono a Palazzo Chigi. In questo contesto il premier non può permettersi di deconcentrarsi dalla ‘partita’ europea.

Sull’unione bancaria fa capire che l’Italia sperava qualcosa di più dall’accordo faticosamente raggiunto in nottata dall’Ecofin. Ma preferisce guardare al bicchiere mezzo pieno:

– Il passo avanti mi sembra ci sia stato e se riusciremo a trovare un buon accordo sarà un grande passo avanti, soprattutto per i risparmiatori che non saranno più chiamati a salvare gli istituti.

Letta dice sì al principio dei cosiddetti ‘contratti’ (accordi per ottenere finanziamenti agevolati dall’Ue in cambio di riforme), anche perché “l’Italia ha i conti a posto” e dunque “non abbiamo nulla da temere da Bruxelles”.

In realtà il rinvio del dossier a giugno consente quegli “approfondimenti” necessari per evitare che lo strumento si trasformi nell’ennesima arma in mano agli ‘ayatollah’ del rigore.

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