Confindustria: Recessione finita ma lascia i danni di una guerra

ROMA  – La recessione dell’economia italiana è tecnicamente finita. Lo afferma il Centro studi di Confindustria.

Ma i suoi effetti, sottolinea l’organismo imprenditoriale, no. E i danni che questa crisi lunga sei anni lascia al Paese sono “pesanti” come quelli di “una guerra”. La risalita, dunque, sarà “lenta”. Tanto che usare il termine ripresa nel prossimo biennio è “per molti versi improprio”. Sul piano “politico e sociale” appare addirittura “derisorio” nei confronti di quanti resteranno in difficoltà.

Lo scenario che traccia il Centro studi di Confindustria nelle ultime previsioni, non a caso presentate con il titolo “La difficile ripresa”, è di un Paese che inizia la “ricostruzione”. Il Csc rivede in peggio le stime sul Pil nel 2013, indicando un -1,8% (dal precedente -1,6%), con una variazione nulla nel terzo trimestre ed un +0,2% nel quarto, mantenendo invece invariata al +0,7% la previsione di crescita per il 2014.

Mentre nella prima stima per il 2015 segna un +1,2%. Dati comunque lontani dal +1% per il 2014 e +2% per il 2015 indicati dal premier Enrico Letta come obiettivo possibile.

– Ma in questo momento, in termini reali di uscita dalla recessione, non si può dire che è finita e che c’è la ripresa – dice il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi -. Io vedo molto ottimismo, ma attenzione – ammonisce – perché noi abbiamo perso 9,1 punti di Pil dal 2007 ad oggi.

E ai ritmi ipotizzati da viale dell’Astronomia – che in una simulazione più negativa indica anche una manovra di un punto di Pil nel 2015 – “il Pil non tornerà ai valori del 2007 prima del secondo trimestre del 2021”. Ed infatti, gli industriali sostengono che “non c’è nessun Paese dentro e fuori dall’Europa le cui lancette dell’economia siano tornate così indietro nel tempo a causa della crisi”. Con danni, appunto, da guerra.

Le persone a cui manca il lavoro, “totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni” almeno, è il bilancio della crisi che fa il Csc. Le famiglie “hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno”. Guardando all’occupazione calcolata sulle Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) dalla fine del 2007 si sono persi 1 milione e 810 mila posti. L’occupazione comunque, dopo essere rimasta ferma nella seconda metà del 2013, ripartirà dal 2014. Si arresta così “l’emorragia occupazionale”: dopo il -1,1% del 2012 ed il -1,7% del 2013, per l’anno prossimo il Centro studi di Confindustria prevede un +0,1%, per il 2015 un +0,5%. Il tasso di disoccupazione resterà stabile oltre il 12% anche nel prossimo biennio. Mentre il deficit è previsto in riduzione per il 2014 ed il 2015 rispettivamente al 2,7% e al 2,4% (dopo il 3% nel 2012 e 2013) ma comunque ad un livello per i prossimi due anni “sensibilmente più elevato di quanto indicato dal governo” nella nota di aggiornamento del Def (2,5% e 1,6%), rileva il Csc. Quanto al debito pubblico, invece, inizierà a calare nel 2015 quando sarà al 132,0% del Pil (includendo l’effetto di privatizzazioni e dismissioni immobiliari).

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