L’orrore nelle prigioni di al Qaida

BEIRUT  – Torture, uccisioni indiscriminate, maltrattamenti come, se non peggio, di quelle che denunciano di aver subito per decenni dal regime di Damasco: decine di civili e ribelli siriani hanno raccontato nelle ultime ore l’orrore della loro prigionia nelle carceri di al Qaida ad Aleppo, nel nord del Paese. Da giorni i miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) sono sotto attacco nelle regioni di Idlib, Aleppo, Raqqa e Dayr az Zor da parte di un inedito fronte di ribelli nazionalisti e altri islamici.

Nel corso di questi scontri, alcune ‘prigioni’ dell’Isis sono state conquistate dagli insorti e i ‘detenuti’ liberati. Secondo fonti dell’opposizione siriana, prima della recente offensiva anti al Qaida, erano circa 1.500 i prigionieri nelle carceri dell’Isis. Diverse testimonianze registrate da giornalisti locali e pubblicate su Internet riferiscono di minori torturati “con gli stessi mezzi con cui il regime aveva torturato nel febbraio 2011 alcuni ragazzini a Daraa”, colpevoli di aver scritto frasi anti-regime sui muri della loro scuola e a cui erano state strappate le unghie dalle dita. Quell’episodio aveva scatenato allora la rabbia dei clan della regione meridionale dando vita a una rivolta popolare in poco tempo allargatasi anche a Homs e ad altre località siriane ostili al regime.

– Gli hanno strappato le unghie una a una e lo hanno fatto confessare di aver violentato tre donne. Aveva solo 15 anni – si racconta in uno dei video apparsi nelle ultime ore.

La prigione è quella di al Qaida a Qadi Askar, quartiere centro-orientale di Aleppo. Milad Shihab afferma di esser rimasto tredici giorni bendato e in isolamento in una cella stretta un metro per un metro.

– Tu, cane, volevi una rivoluzione? – è la frase spesso urlata ai prigionieri sdraiati a terra e “calpestati con il tacco degli stivali militari”.

Una frase analoga – affermano gli attivisti – (“è questa la rivoluzione che volevi?”) è usata dai miliziani del regime contro i civili arrestati.

– Siamo arrivati al punto di sperare che la prigione venisse bombardata dal regime… almeno avrebbero smesso di torturarci – afferma Shihab. Altri superstiti usciti dall’inferno di Qadi Askar raccontano che molti detenuti erano ribelli dei gruppi anti-regime, tra cui appartenenti a formazioni islamiche radicali e che spesso questi prigionieri sono atti uccisi in carcere.

– Li hanno uccisi brigata per brigata. Avrebbero proseguito fino a quando tutto il Paese non fosse stato sotto il loro controllo.

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