Operai guardano a nuova Fiat tra timori e speranze

GRUGLIASCO (TORINO).- Attraversano i cancelli della fabbrica a passo svelto. Un saluto al collega accanto e via verso la fermata dell’autobus, come se non sapessero che nelle ‘stanze dei bottoni’ stanno decidendo i loro destini. “Non vedo perché preoccuparsi, che differenza farebbe?”, si chiede un giovane. “Io invece sì che mi preoccupo”, ribatte un’operaia che indossa un piumino rosso per ripararsi dalla neve. “Sono mamma di due bambini – sottolinea – e ho il mutuo da pagare. Se perdo il lavoro è finita…”. Timori e speranze si mescolano all’uscita dello stabilimento ‘Giovanni Agnelli’ di Grugliasco. Da pochi minuti la Fiat è entrata nella storia per lasciare posto a Fiat Chrysler Automobiles, il nuovo gruppo nato dalla fusione tra le due case automobilistiche. Una tappa annunciata, ma che non lascia indifferente chi è nato è cresciuto con la convinzione che Torino fosse sinonimo di automobile. “Come si chiama? Fiat Chrysler? Ah, bene… Almeno questo lo abbiamo portato a casa”, dice Giacomo Zulianello, che nello stabilimento Maserati è anche delegato sindacale. “Poteva anche essere il contrario – dice sorridendo – anche se quello che conta è il mantenimento della produzione negli stabilimenti italiani. E io dico che vicino al polo del lusso serve quello dell’utilità”. Che la sede legale sia in Olanda, o quella fiscale in Gran Bretagna, poco importa. E’ il lavoro che conta per questi operai, tornati a vivere da quando, lo scorso anno, lo stabilimento ha iniziato a sfornare Quattroporte e Ghibli. “Speriamo soltanto che i prodotti realizzati qui a Torino bastino per far lavorare tutti”, commenta Massimo Russo. “E speriamo anche arrivino nuove commesse – aggiunge – per gli altri stabilimenti italiani, a cominciare da quello di Mirafiori”. Qui, dove tutto è nato, interessa poco la tanto sbandierata globalizzazione. “L’importante è che non ci porti via il posto e lo stipendio”, commenta Enrico Carbonello, mentre Domenico Grasso, suo collega alla catena di montaggio, si preoccupa che “l’Italia, al di là della sede, mantenga una sua rappresentanza nel mondo”. “Con tutto quello che stiamo perdendo negli altri settori – sostiene – ci manca solo che lo stile italiano sparisca dalle auto. Per il resto non ci resta che sperare…”.

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