Sempre più aziende delocalizzano e trainano l’export

ROMA. – All’estero non vengono solo apprezzati i cervelli italiani, lo stesso capita alle imprese. E quando si fa il passo più lungo, delocalizzando, la scelta sembra ripagare facendo da esca, da traino, all’export nazionale. A dirlo è l’Istat nel Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, che traccia un identikit a tutto tondo del tessuto imprenditoriale. E il risultato più netto è la linea di demarcazione tra chi perde e chi vince, un soglia che coincide con i confini nazionali. Se tra il 2010 e il 2013 la quota delle aziende che ha aumentato il fatturato si ferma al 51% è colpa del magro bottino ottenuto sul mercato interno, dove hanno riscosso un guadagno solo il 39% delle imprese. Fortunatamente c’è un 61% che, segnando una crescita delle vendite all’estero, risolleva il dato complessivo. Comunque i numeri non lasciano dubbi sugli effetti della crisi: negli ultimi due anni per una realtà che è riuscita a tirare su i ricavi sia sul fronte nazionale sia al di fuori ce ne sono due che hanno incassato solo perdite. Ecco che allora l’Istat divide le imprese in quattro classi. Si parte con le ‘vincenti’, quelle con vendite in positivo in Italia e all’estero, tra il 2011 e il 2013 circa 4.600, il 18,1% del totale. Seguono le ‘crescenti all’estero’, che rilevano un aumento dell’introito sui mercati stranieri contro un calo sul territorio nazionale. Coprono una fetta importante: 8.500 pari al 33%. E ancora le ‘crescenti in Italia’, che sperimentano rialzi esclusivamente sul mercato interno. Si tratta di casi più rari (3.400, il 13,3%), vista lo stato in cui versa la domanda nazionale. Infine, le imprese ‘in ripiegamento’, fanno acqua dappertutto e sono il gruppo più numeroso: 9.100 (il 35,6%). Inoltre l’Istituto fa notare che tra le imprese che vanno bene fuori confine ”la delocalizzazione si delinea come una strategia premiante”, aumentando di 6,5 punti la probabilità di appartenenza all’enclave delle ‘crescenti all’estero’. In altre parole delocalizzare spiana la strada all’export. Guardando al futuro c’è una dato che lascia ben sperare: quasi 9 imprese su 10 dichiarano di poter far fronte ”rapidamente e in misura adeguata a un significativo aumento di domanda nazionale”. In effetti ”la maggior parte delle aziende manifatturiere sopravvissute all’ultimo biennio di crisi dichiara di avere mantenuto sostanzialmente invariati i livelli occupazionali, i prezzi di vendita e lo stock di capitale fisico e umano”. Insomma le imprese sono pronte a scattare, ovviamente, è da sottolineare, in caso di ripresa.  

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