La giornata politica: La settimana della verità per Matteo Renzi

ROMA. – E’ la settimana della verità per Matteo Renzi. Stretto tra Scilla e Cariddi, tra il voto della legge elettorale e il taglio delle tasse, il premier deve innanzitutto dare una dimostrazione di indipendenza: dai partiti e dalle parti sociali. La polemica sulle quote rosa è stato solo uno dei tanti scogli da superare. Ogni tema è buono per tentare di ridimensionare non tanto l’Italicum, ma la portata del patto tra il premier e il Cavaliere. Ciò fa capire quanto sarà difficile la navigazione della riforma anche al Senato, sebbene essa debba cominciare dopo l’avvio del dibattito sulla connessa abolizione del Senato. Il Rottamatore sa bene che il vascello governativo naviga in acque minate: minoranza interna del Pd, piccoli partiti e opposizioni possono sfruttare qualsiasi occasione per tentare di disalberarlo. Per ora l’intesa con Berlusconi ha retto, ma in Forza Italia serpeggia un certo malumore per le difficoltà incontrate dal segretario democratico nel controllare i suoi gruppi parlamentari (dove peraltro i renziani non sono in maggioranza). La trovata del governo di rimettersi all’aula, lasciando libertà di coscienza ai deputati sulla parità di genere con lo scrutinio segreto, non ha del tutto fugato i dubbi dei berlusconiani sulla reale presa che il premier può esercitare sui gruppi del Pd in vista di prove più impegnative: perché alla fine in aula si è comunque giunti ad un voto al buio che non fornisce nessun tipo di garanzia in caso di tensioni ancora più forti. Il braccio di ferro sul taglio dell’Irap o dell’Irpef è il contraltare sul fronte economico di queste divisioni. Renzi sembra su posizioni un po’ diverse da quelle del ministero dell’ Economia: in un’ottica alla Tony Blair, pensa che occorra innanzitutto mettere un po’ di soldi in tasca ai cittadini di reddito medio-basso per far riprendere i consumi. Perciò vorrebbe innanzitutto tagliare le tasse, rinviando all’anno prossimo la riduzione dell’Irap che avvantaggerebbe le imprese (queste ultime potranno contare in compenso su una nuova tranche di restituzione dei debiti arretrati della Pa). Il viceministro Morando, più in linea sembra di capire con le idee di Pier Carlo Padoan, avrebbe preferito il contrario perché aiutare le imprese significa cercare di creare nuovi posti di lavoro. Si vedrà ben presto l’esito della disfida. Il premier ha confermato per mercoledì il Consiglio dei ministri della svolta e può contare su un ”tesoretto” di fondi europei per lo sviluppo (circa 12 miliardi) sbloccati da Bruxelles per il biennio 2014-2015. Ma, come gli fanno notare da sinistra, resta il grande problema di ottenere anche la possibilità di sforare il Patto di stabilità (Vendola), ma su questo fronte verosimilmente non ci saranno novità da parte della Ue. C’è poi il problema del rapporto con le parti sociali. La segretaria della Cgil Susanna Camusso accusa Renzi di interpretare la manovra economica come una specie di derby tra governo, sindacati e imprenditori quando invece la questione è politica. L’ombra di uno sciopero, che i renziani interpretano come una mossa pregiudiziale contro il premier, nasconde in realtà una questione politica molto più sostanziale: il futuro della concertazione. Un metodo che ha segnato il cammino di tutti gli ultimi governi e che il Rottamatore sembra deciso a superare, sebbene nel suo partito e anche nelle altre forze politiche ci siano molti dubbi. Un po’ Blair, un po’ Craxi, Renzi tira diritto convinto che quando si vedranno i primi risultati l’opinione pubblica sarà tutta con lui. Una scommessa tutta da verificare che si basa sul presupposto di schivare i tranelli delle moltissime votazioni parlamentari che costelleranno il cammino delle riforme.

(di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

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