La giornata politica: Che cosa chiede Berlusconi?

ROMA. – Il valzer di incontri tra Quirinale e palazzo Chigi (Berlusconi da Napolitano, Verdini e Letta da Renzi) stanno facendo affiorare un nuovo problema per il premier: la tenuta del patto con il Cavaliere. Finora l’intesa del Nazareno ha sorretto il cammino della riforma elettorale e del pacchetto istituzionale (Senato e titolo V della Costituzione). Ma adesso l’approssimarsi della sentenza della magistratura sulle sorti del leader di Forza Italia (domiciliari o affidamento ai servizi sociali) ha scoperchiato il vaso di Pandora: qualunque sia la decisione dei giudici di Milano, Berlusconi sarà politicamente azzoppato.  Ne deriva che il suo partito rischia la stessa sorte, in assenza di un delfino designato alla successione o anche di un leader riconosciuto capace di guidare gli azzurri in una competizione impegnativa come le elezioni europee. Il nome resterà nel simbolo, forse all’ultimo momento si assisterà perfino alla candidatura di una delle sue figlie (Marina o Barbara), ma è chiaro che si tratta in ogni caso di soluzioni d’emergenza che preoccupano l’entourage del Cavaliere di fronte a sondaggi che segnalano un’altissima percentuale di indecisi e di astensionisti. Dunque che cosa chiede Berlusconi? Essendo evidentemente impensabili pressioni del Colle o della presidenza del Consiglio sulla magistratura, e anche provvedimenti dell’ultima ora come l’indulto (che spaccherebbe il Pd), la exit strategy studiata nella war room azzurra sembra puntare su una nuova legittimazione politica nel solco del primo incontro del Nazareno. Perciò Berlusconi è salito al Quirinale per ribadire la sua lealtà all’accordo contratto con Renzi: l’interesse era quello di sottolineare la sua collocazione nel pantheon dei padri riformatori e in un certo senso l’essere stato ricevuto dal capo dello Stato quale leader del maggior partito d’opposizione serviva a ottenere questo implicito riconoscimento. Ma il vero obiettivo politico è quello di un nuovo incontro con il Rottamatore. Per stabilire il cammino delle riforme e indirettamente far risaltare l’indispensabilità del voto di Forza Italia. Su questo punto finora Renzi si è sottratto ad un abbraccio giudicato pericoloso e inopportuno: il premier ripete che non ce n’è bisogno e che ciascuno deve dimostrare di saper controllare i suoi. E’ vero che il segretario del Pd ha una sorta di guerriglia in casa sull’elettività del Senato e sul decreto lavoro, e che dunque i voti azzurri coprirebbero al Senato eventuali defezioni nelle file democratiche; ma è anche vero che, se l’apporto di Berlusconi dovesse venire a mancare, lo scenario potrebbe cambiare e la sinistra interna essere tentata di rientrare nei ranghi per intestarsi una riforma delle istituzioni depurata dei voti della destra. Questo è il motivo per cui da Forza Italia si invita il Pd ”a non cadere negli errori del passato” (Bergamini), cioè in riforme varate con una maggioranza risicata che poi potrebbero essere bocciate dal referendum confermativo popolare. Come dice Giovanni Toti, nei momenti delicati certi incontri devono essere considerati ”normali”. La tela del regista Verdini è tesa a creare un clima politico che assicuri a Berlusconi almeno la ”firma” sotto un progetto condiviso di riforma della Costituzione e della legge elettorale, tale da riportarlo in pista una volta scontata la pena accessoria dei domiciliari o dei servizi sociali. A dispetto delle apparenze, il Rottamatore è comunque in una posizione di forza. Se l’accordo regge, si varerà un piano di riforme senza precedenti; se salta, potrà sempre addossare la colpa del fallimento a chi non ha mantenuto la parola data e tentare il varo del piano con la sua attuale maggioranza. Del resto anche il Nuovo centrodestra potrebbe avere interesse a incarnare da solo, insieme agli alleati centristi, il moderatismo responsabile. Angelino Alfano lo lascia intendere quando parla di una Fi ”smagnetizzata” e di un nuovo schieramento che dia vita al Ppe italiano. Ecco perchè Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme, tiene duro sul punto chiave del progetto renziano: la non elettività del Senato. Si possono discutere altri punti, ma non questo che rappresenta anche simbolicamente la fine del bicameralismo perfetto e dunque della vecchia partitocrazia. Le accuse di Fi sulla legge che abolisce le province (”una porcata”, secondo Brunetta) sono respinte al mittente come un tentativo di condizionare il Pd. E non fanno paura nemmeno le critiche di Grillo che attacca ancora una volta Napolitano per l’incontro con il Cavaliere: la forza delle novità, secondo i renziani, parlerà da sola ai cittadini. (di Pierfrancesco Frerè/Ansa)

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