La giornata politica: Ue, nuovo patto tra popolari e socialisti

ROMA. – Al Consiglio europeo Matteo Renzi un risultato lo ha già ottenuto: il vertice non sarà una vetrina formale del passaggio di consegne dalla vecchia alla nuova legislatura ma il terreno del nuovo patto tra popolari e socialisti. Nel Pse è passata infatti la linea di approvare la presidenza Juncker solo se la bozza di programma sarà trasformata in un documento chiaro sugli impegni da assumere su crescita e lavoro. Pragmatismo blairiano che piace un po’ a tutti. Quando il Rottamatore parla della necessità di ”darsi una mossa e pensare di più alle famiglie”, cogliendo il segnale giunto dal voto di maggio, in fondo non fa che dare voce a ciò che pensano tutti i socialisti europei: è giunto il momento di archiviare ”l’ottusa austerità” e di prendere impegni precisi sugli investimenti necessari ad innescare la ripresa, al di là di una lettura burocratica del patto di stabilità. Le timide aperture giunte dal governo tedesco, per bocca del vicecancelliere Sigmar Gabriel, dimostrano che a Berlino si sta pensando a come raggiungere un punto d’equilibrio. Anche perché Renzi ha dimostrato di non essere isolato, ma di avere dietro di sé un Paese chiave come la Francia: se all’asse con Parigi si dovesse saldare anche Madrid – secondo l’auspicio di Romano Prodi che vede in questa alleanza l’unico modo per controbilanciare lo strapotere della Germania – l’attuale equilibrio interno della Ue potrebbe uscirne molto cambiato. Quello che emerge nel frattempo è il diverso ruolo che l’Italia, prossima ad assumere la presidenza di turno della Ue, ha assunto: un ruolo quasi di traino, proprio come auspicato fin dall’inizio dal premier. Bisognerà vedere come si svilupperanno le trattative sui nomi della commissione (all’interno della quale Federica Mogherini resta candidata alla poltrona di Alto rappresentante per la politica estera), ma certo l’importante era imporre il cambio di strategia e dimostrare che non esistono santuari inviolabili. E’ un piano di battaglia che Renzi sta attuando anche nel nostro Paese. Dal primo tavolo con i 5 stelle sulle riforme si è alzato con un risultato che fino a poche settimane fa sembrava impensabile: la disponibilità del Movimento a discutere insieme la legge elettorale e l’assetto del nuovo Senato. Le distanze restano notevoli e non potrebbe essere diversamente. Renzi fa pesare il successo riscosso alle europee e il percorso che ha portato al primo voto sull’Italicum e all’approdo in commissione delle riforme istituzionali. I suoi chiariscono che la trattativa non impedirà di rispettare i temi previsti, ma certe aperture del Rottamatore (come quella sulle preferenze e sulla struttura del doppio turno) hanno impensierito Forza Italia: tra gli azzurri serpeggia il timore di finire chiusi in una tenaglia in cui sarebbe difficile non fare ulteriori concessioni al Pd. Ciò spiega perché Berlusconi raccomandi ai suoi la calma e il tempismo. A fronte delle dichiarazioni dei democratici (Guerini, Picierno) che ribadiscono implicitamente la validità del patto del Nazareno, gli azzurri stanno tentando di imprimere un colpo di acceleratore alla riforma elettorale: come dice Stefania Prestigiacomo, se i grillini parlano di chiudere il negoziato in cento giorni, gli azzurri sono pronti a votare subito l’Italicum che – chiarisce Paolo Romani – per Fi è l’unica base di discussione. Si inseriscono anche gli alfaniani con la richiesta di partire da un accordo di maggioranza da allargare solo dopo all’opposizione. Il Nuovo centrodestra tra le sue proposte rilancia il presidenzialismo, la flat tax e la riforma della giustizia: una strizzatina d’occhio a tutto il centrodestra. Non sono dettagli. Come dice il democratico Andrea Marcucci, in Senato non ci sono i numeri per bloccare le riforme se il patto regge, anche con la dissidenza di una parte dei democratici e dei centristi. Del resto la denuncia di Mario Mauro di una ”deriva autoritaria” da parte del Pd difficilmente potrebbe essere sottoscritta dalla minoranza dem. Ciò significa che i margini di manovra del M5S sono esigui: nel partito già in molti sono disorientati dalle scelte compiute in sede europea con l’alleanza con Farange. Scendere sul piano delle trattative parlamentari con Renzi per spuntare qualche emendamento migliorativo potrebbe essere ritenuto un risultato non sufficiente da una base che finora è stata abituata ad un’ opposizione ben più aggressiva. (Pierfrancesco Frerè /ANSA).

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