Iraq: Baghdad minaccia Usa, peggio dell’11 settembre

BAGHDAD/BEIRUT. – Dopo l’annuncio della rinascita del “Califfato”, il leader dello Stato islamico sorto tra Iraq e Siria, Abu Bakr al Baghdadi, evoca un altro incubo per l’Occidente: l’11 settembre. La minaccia è rivolta agli Stati Uniti, che pagheranno “un prezzo più alto di quello fattole pagare da Osama bin Laden”. Baghdadi ha invitato “tutti i musulmani a unirsi alla jihad” nel mese sacro di Ramadan, iniziato domenica scorsa. Questo mentre le fratture politiche, confessionali ed etniche dell’Iraq sono emerse in tutta la loro profondità durante la seduta inaugurale del parlamento federale, dominato da una maggioranza di deputati sciiti contestata dalle formazioni curde e sunnite, in parte solidali queste ultime con l’insurrezione armata, alleatasi tatticamente con i qaedisti di Baghdadi. La seduta si è conclusa in bagarre e la rissa è stata sfiorata più volte tra deputati delle formazioni politiche rivali. Il contestato premier Nuri al Maliki era presente. Finora i gruppi sciiti non sono riusciti a trovare un accordo sulla nomina del prossimo primo ministro, che per convenzione deve essere sciita. Mentre il presidente del Parlamento deve esser scelto tra i sunniti e il capo dello Stato tra i curdi. La prossima seduta per l’elezione del presidente dell’assemblea si svolgerà tra una settimana. Intanto gli Stati Uniti hanno inviato a Baghdad altri 200 militari per proteggere i cittadini e le proprietà americane nel Paese. E l’Iran ha annunciato che non invierà truppe ma solo armi. Anche perché i suoi consiglieri sono già da tempo dispiegati in massa nel Paese per addestrare le truppe regolari e guidare il reclutamento di decine di migliaia di miliziani sciiti lealisti. Dal canto suo, l’Arabia Saudita ha deciso di donare mezzo miliardo di dollari per far fronte alla crisi umanitaria. Il denaro non passerà attraverso il governo filo-iraniano del premier Nuri al Maliki, con cui Riad è alle strette, bensì attraverso le varie agenzie dell’Onu. Sul terreno, la missione delle Nazioni Unite in Iraq (Unami) ha riferito che nel solo mese di giugno, coinciso grosso modo con l’avanzata qaedista su Mosul e su altre città del centro-nord iracheno, sono morte circa 4.700 persone. Mentre sono più di 4.000 – secondo fonti governative irachene – i profughi dalla regione nord-occidentale di Tell Afar, anch’essa presa di mira dallo Stato Islamico. Anche oggi si è registrata una timida avanzata delle truppe lealiste verso Tikrit, 160 km a nord di Baghdad, conquistata tre settimane fa da miliziani dello Stato islamico. I soldati governativi sono riusciti a liberare l’intera zona “cinese” di Tikrit, dove hanno sede il consolato di Pechino e altri uffici di società cinesi. E a Falluja, città in mano agli insorti nella regione di Anbar roccaforte dei qaedisti, nove civili tra cui un minore sono morti sotto i bombardamenti dell’artiglieria governativa, secondo fonti mediche locali. Nella vicina Siria, lo Stato islamico ha conquistato dopo tre giorni di battaglia contro gli insorti siriani, la cittadina frontaliera di Albukamal, nei pressi del valico con l’Iraq. Più a nord, l’aviazione di Baghdad ha colpito per la seconda volta in pochi giorni postazioni dello Stato islamico a Mosul, la seconda città del Paese caduta in mano ai qaedisti il 10 giugno scorso. In risposta a questa offensiva, in Iraq proliferano le milizie sciite. L’ultima si chiama “Brigade della Pace” ed è guidata, con la benedizione del governo, dal sindaco di Baghdad, Ali Tamimi, che ha oggi annunciato con fierezza di essere a capo di un migliaio di miliziani armati: fotografati con in mano copie del Corano e fucili automatici, il loro compito è proteggere i luoghi santi di Samarra, una delle maggiori città sciite del Medio Oriente. (Lorenzo Trombetta/ANSA)

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