Stop alla Camera sul doppio cognome ai figli

ROMA. – Lo stop è inaspettato e, in una manciata di ore, riaccende una battaglia culturale che a Montecitorio sembrava ormai superata. Dalla Camera giunge una brusca frenata all’approvazione della proposta di legge che supera l’obbligo di trasmettere ai figli il cognome del padre e consente la libertà di scelta: in pratica a un figlio potrà andare o il cognome del padre, o quello della madre, o tutti e due. Una vera e propria rivoluzione culturale per le famiglie italiane. La proposta di legge era già passata il 10 luglio in commissione Giustizia ed è ora all’esame dell’aula. Ma dopo l’ok ai primi tre articoli emergono in Aula malumori trasversali che portano a interrompere le votazioni. Si ricorre così al Comitato dei Nove dove la discussione si accende, con divisioni che emergono all’interno di FI e Pd. E alla fine si opta per rimandare i lavori dell’Aula, tra i malumori di chi voleva un sì in tempi brevi. Due, soprattutto, i nodi che hanno riacceso il dibattito . Il primo riguarda i figli ai quali viene attribuito il cognome di entrambi i genitori. Secondo la proposta, nel momento in cui diventano a loro volta genitori devono scegliere solo un cognome da trasmettere alla propria discendenza. Secondo buona parte dei detrattori della proposta di legge, dovrebbero essere invece i nonni a stabilire, da subito, quale dei due cognomi dovrà andare ai loro nipotini. L’altro punto dirimente riguarda il ricorso all’ordine alfabetico dei due cognomi nel caso in cui i genitori non trovino un accordo. Criterio che trova diversi critici a partire da Ignazio La Russa, il più lesto ad augurarsi un “rinvio sine die”. del testo. Ma l’ex ministro non è l’unico a contestare una proposta di legge che oggi ha visto scendere in trincea i centristi e diversi esponenti azzurri – su tutti Stefania Prestigiacomo. Percepito il clima, anche una parte di deputati Pd ha scelto di mettere i bastoni tra le ruote. Da qui la scelta di rinviare i lavori dell’Aula. “Abbiamo registrato un po’ di mal di pancia e non volevamo forzare, abbiamo scelto di lasciare un po’ di tempo per la discussione”, spiega la parlamentare Dem Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia, escludendo comunque il rinvio in commissione e assicurando che, da parte di tutti, c’è la “volontà di chiudere entro la pausa estiva”. Ma lo stop riaccende lo scontro. “E’ arrivato per i veti culturali opposti da alcuni deputati, maschi, del nostro Parlamento e il Pd non ha saputo, a mio parere, tenere la barra dritta”, protesta la democratica Michela Marzano, che dice di sentirsi “tradita” dal suo partito. “Il Pd si inchina ai voleri del centrodestra”, incalza Sel, incassando a ruota la replica del capogruppo Pd in commissione Giustizia, Walter Verini: “Tutto il contrario, abbiamo impedito l’affossamento della legge”. Mentre l’Ncd, da parte sua, rivendica la paternità della frenata a un testo dove emerge “un accanimento ideologico”. Di certo, spiegano in Transatlantico, l’impasse ha riacceso quel “blocco culturale e ‘patriarcale'” contro la proposta di legge che, nei giorni scorsi appariva sopito. (di Michele Esposito/ANSA)

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