Terrorismo: gruppo pro-jihad a Milano, 11 indagati

MILANO. – Sono undici in totale le persone indagate in un’inchiesta della Procura di Milano su una presunta ‘cellula’ jihadista che avrebbe reclutato combattenti da inviare nelle zone di guerra, e in particolare in Siria, in un’ottica di ‘guerra santa’. Un’indagine aperta ormai quasi due anni fa, ma della cui esistenza si è saputo soltanto nei giorni scorsi e nella quale figurano i nomi non soltanto di alcuni siriani che hanno già lasciato l’Italia per andare a combattere, ma anche di loro connazionali ancora residenti tra Cologno Monzese e il capoluogo lombardo. Tra gli indagati per terrorismo internazionale, infatti, nell’ambito dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dal pm Grazia Pradella, c’è anche un uomo di origine siriana, A.B., residente da molti anni in provincia di Milano e amico di Haisam Sakhanh, il presunto capo del gruppo. Sakhanh, detto ‘Abu Omar’ e che in passato è stato anche un attivista del ‘Coordinamento siriani liberi di Milano’, stando a quanto ricostruito dagli investigatori, ha lavorato come manovale e elettricista per oltre dieci anni a Cologno Monzese (Milano), dove viveva, e poi ha seguito un percorso di radicalizzazione. Ha lasciato l’Italia tra la primavera e l’estate del 2012 per andare a combattere in Siria (dove si troverebbe tuttora), dopo aver reclutato – questa è l’ipotesi d’accusa – connazionali per fazioni jihadiste. Tra l’altro, lo stesso Abu Omar, stando a quanto accertato dagli investigatori, è uno dei ribelli siriani che vengono ripresi (lui con un kalashnikov in mano) in un video del New York Times, pubblicato nel settembre 2013, mentre uccidono con una vera e propria esecuzione alcuni soldati dell’esercito siriano di Bashar al-Assad. Anche altre immagini e altri video sono finiti, da quanto si è saputo, agli atti dell’inchiesta, assieme ad una serie di intercettazioni che hanno captato colloqui tra i componenti del presunto gruppo terroristico, alcuni dei quali, come A.B., sono ancora residenti tra Milano e Cologno Monzese. Colloqui telefonici in arabo e che necessitano, quindi, anche di un lungo lavoro di traduzione da parte degli investigatori. Le analisi degli inquirenti, inoltre, si sono concentrate soprattutto sulla presunta attività di reclutamento e di finanziamento da parte del gruppo jihadista. Sakhanh, tra l’altro, era già stato processato per direttissima in Italia un paio di anni fa per aver tentato di entrare nell’ambasciata siriana a Roma nel febbraio 2012, assieme ad una decina di attivisti del ‘Coordinamento siriani liberi’. “Abbiamo assaltato l’ambasciata degli assassini a Roma”, spiegava Abu Omar in un video caricato su Youtube, aggiungendo: “Abbiamo deciso di compiere questo gesto perché è passato un anno dall’inizio del massacro contro il popolo siriano con esecuzioni a sangue freddo, con il mondo che resta in silenzio”. Pochi mesi dopo quel blitz sarebbe partito per la Siria con almeno altri tre connazionali. Da valutare, infine, la posizione di due soggetti che allo stato risultano tra gli undici indagati, ma per i quali forse non si arriverà ad una richiesta di processo (nelle prossime settimane verranno chiuse le indagini) per il reato di terrorismo internazionale, previsto dall’art. 270 bis del codice penale e introdotto dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. (di Igor Greganti/ANSA)

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