Le bandiere nere dell’Isis a Kobane. I curdi sono ormai allo stremo

BEIRUT. – Si combatte ormai strada per strada a Kobane, la strategica città curda siriana assediata da tre settimane dai miliziani dello Stato islamico, che adesso hanno innalzato la loro bandiera nera in un quartiere periferico. Mentre a ridosso del confine, pochi chilometri più a nord, le forze turche rimangono a guardare e i miliziani del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sono pronti a intervenire se Ankara dovesse dare loro il via libera. In Iraq, invece, 22 civili, tra i quali 4 bambini, sarebbero rimasti uccisi in un raid di aerei della Coalizione internazionale che avrebbero colpito per errore un edificio abitato da famiglie a Hit, 150 chilometri a ovest di Baghdad. Lo riferisce l’agenzia irachena Nina, citando “fonti mediche” locali, anche se per il momento non vi sono conferme da altre fonti. Altri 43 civili sarebbero rimasti feriti nell’edificio colpito, che si trovava a una settantina di metri da una postazione dell’Isis. Intanto, 220 chilometri più a est di Kobane, in Siria, almeno 30 miliziani e poliziotti curdi sono stati uccisi in un doppio attentato con autobomba compiuto dai jihadisti, secondo l’ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). I veicoli carichi di esplosivo sono stati fatti saltare in aria dai kamikaze che erano alla guida a posti di blocco all’entrata occidentale della città. L’Ondus ha riferito che le forze dello Stato islamico hanno issato la loro bandiera nera nel quartiere di Maqtalah, nell’est di Kobane. I jihadisti si sarebbero inoltre impossessati di vaste aree sull’altopiano di Mashtah Nur, che sovrasta la città. Inoltre, durante la notte venti miliziani dell’Isis sono stati uccisi in un’imboscata delle forze curde dopo essersi infiltrati nell’abitato. In territorio turco, dove sono caduti alcuni obici provocando il ferimento di quattro persone, le forze di sicurezza sono intervenute, lanciando anche gas lacrimogeni, per allontanare dalla frontiera decine di giornalisti e di civili, in maggioranza curdi, che osservavano i combattimenti. E, nonostante il voto con cui il Parlamento di Ankara ha dato la settimana scorsa il via libera ad eventuali operazioni militari oltre confine, l’esercito turco rimane per il momento a guardare. “Invieremo le nostre truppe in Siria solo se la strategia Usa includerà anche la destituzione di Assad”, ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu in un’intervista alla Cnn, evocando una condizione per il momento non immaginabile. Mentre sul Times trapela la notizia che Ankara avrebbe scambiato con l’Isis oltre 180 jihadisti, fra cui due britannici, in cambio di 46 diplomatici di Ankara e tre iracheni, rapiti dallo Stato islamico nei mesi scorsi. Indiscrezione, secondo il Times, ritenuta “credibile” dal governo di Londra. Per ora non vi sono segnali che Ankara abbia dato il via libera nemmeno alle forze del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Ppk), che da 30 anni si battono per l’indipendenza dalla Turchia, per varcare il confine ed unirsi ai combattenti curdi siriani dell’Ypg, l’ala militare del loro alleato Partito dell’unità democratica (Pyd). Intanto in Iraq aerei australiani hanno compiuto la prima missione, di pattugliamento e appoggio ravvicinato da quando, venerdì scorso, il governo ha autorizzato raid contro l’Isis nel Paese. Sempre in Iraq, i combattimenti più intensi tra l’esercito e l’Isis proseguono nella regione di Dhuluiya, a nord di Baghdad, e nella provincia di Al Anbar, ad ovest, dove almeno un civile è stato ucciso e otto sono rimasti feriti in un bombardamento lealista sulla città di Falluja. Nel frattempo i genitori di Peter Kassig, l’ostaggio americano che l’Isis ha indicato come la prossima vittima nell’agghiacciante serie di decapitazioni di occidentali mostrate in video, hanno diffuso il testo di una lettera ricevuta dal figlio. “Ho paura di morire, ma la cosa più difficile è non sapere, immaginare, sperare se posso addirittura sperare ancora”, afferma il prigioniero dei jihadisti. L’Isis continua intanto a fare proseliti tra le organizzazioni jihadiste di diverse parti del mondo e si moltiplicano le decapitazioni (3 in Egitto, ad opera di Ansar beit al Maqdis, 7 in Nigeria, per mano dei Boko Haram). Il leader della formazione tunisina Ansar al Sharia, Abou Iyadh, dalla latitanza ha lanciato un appello al capo di al Qaida nel Maghreb islamico, l’emiro Abdelmalek Droukdel, affinché insieme si alleino con lo Stato islamico di Abu Bakr Al-Baghdadi. Mentre il movimento islamico dell’Uzbekistan, un gruppo legato ad Al-Qaida e attivo anche in Afghanistan e nelle zone tribali pakistane, ha annunciato il suo sostegno all’Isis. (Alberto Zanconato/Ansa)