Il petrolio sotto i 50 dollari spinge il Pil, ma rischio spirale deflazione

Rischio deflazione

ROMA. – Niente più zavorra energetica, niente più bilancia commerciale a picco, benzina finalmente a prezzi abbordabili. Il petrolio sotto i 50 dollari significa per l’Italia un sospiro di sollievo sotto il fronte delle importazioni e sicuramente anche un rinfoltimento dei portafogli per automobilisti e autotrasportatori. Tuttavia, vedere i prezzi dei carburanti scendere sotto 1,5 euro al litro, come è successo oggi in alcuni distributori del Nord Italia, ed assistere contemporaneamente alla discesa a ritmi simili dei costi di trasporto delle merci significherà anche, con ogni probabilità, ripiombare inesorabilmente nella deflazione, dopo gli ultimi mesi di lieve risalita del livello generale dei prezzi. Quella che apparentemente sembra dunque per il nostro Paese una notizia positiva e liberatrice potrebbe mostrare quanto prima la sua doppia faccia. Il rischio è quello di un avvitamento o, nel migliore dei casi, di un effetto nullo del calo delle quotazioni del greggio. In combinazione con il nuovo spettro Grecia, la discesa dei prezzi del petrolio sta infatti squassando i mercati internazionali, compreso quello italiano, mandando in fumo miliardi di capitalizzazione, a partire dai giganti energetici nazionali Eni ed Enel. L’effetto positivo sul Pil si farà sentire e arriverà, secondo le stime del ministero dell’Economia, ad uno 0,5% in più se i prezzi dovessero mantenersi stabilmente bassi nel medio-lungo termine. L’economia potrebbe dunque trarre i suoi vantaggi, così come potrebbero risentire positivamente del crollo del greggio anche i conti pubblici, che sul Pil misurano il loro andamento. Ma proprio quel basso livello che tanto aiuterebbe, e in parte ha già aiutato, la bolletta energetica italiana significherebbe anche spingere l’inflazione sempre più giù, probabilmente invertendo il segno positivo degli ultimi mesi in segno meno. Secondo molti analisti, già a dicembre l’Italia potrebbe tornare a registrare un andamento negativo, con uno stimato -0,1% dopo il +0,2% di novembre. L’Istat renderà noto il dato mercoledì, ma già quello in arrivo oggi dalla Germania (appena +0,1% lo scorso mese, ai minimi degli ultimi 5 anni) è poco promettente. E la deflazione è il peggior nemico del debito pubblico. Soprattutto per Paesi a rischio come è l’Italia. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo ripete come un mantra. Se il nostro debito continua ad aumentare “non è colpa dell’Italia”. Se succede è perché l’inflazione è troppo bassa. Se infatti il tasso di crescita dei prezzi fosse, come dovrebbe, intorno all’obiettivo fissato dai trattati Ue al 2%, la crescita nominale sarebbe molto più pronunciata e il debito italiano sarebbe quindi “in un sentiero di discesa rapidissimo”. Purtroppo, al momento, così non è.

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