Accordo sulla tregua in Ucraina, ma restano le ombre

Ukraine peace talks in Minsk

MINSK. – Un cessate il fuoco dalla mezzanotte di sabato e il ritiro delle armi pesanti da martedì: sono i due punti più importanti dell’accordo sul conflitto ucraino trovato da Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande al vertice di Minsk, dopo una tesissima maratona notturna di 16 ore, forse la più lunga della loro carriera. Un’intesa che, con qualche modifica, rilancia sostanzialmente gli accordi di Minsk dello scorso 5 settembre, finora ripetutamente violati da ambo le parti. Ora però c’è il sostegno ufficiale dei quattro leader e una road-map firmata dal gruppo di contatto, dove gli emissari di Kiev dialogano con i separatisti sotto il patronato dell’Osce e della Russia. I prossimi giorni diranno se l’accordo reggerà. Per ora sembra prevalere un misto di speranza e scetticismo per le troppe ombre rimaste sullo sfondo del negoziato: dallo status delle regioni ribelli – Poroshenko ha negato che avranno autonomia – al controllo dei confini russo-ucraini, dai quali anche oggi Kiev ha denunciato, senza provarlo, l’ingresso di “una cinquantina di carri armati russi, 40 lancia missili Grad, Uragan e Smertch e altrettanti blindati”. “La Russia ha lanciato un’offensiva subito dopo la firma dell’accordo”, ha accusato Poroshenko, volato a Bruxelles in cerca di sostegno politico dopo aver incassato dal Fmi l’estensione degli aiuti da 17,5 a 40 miliardi di dollari. Tra i nodi da sciogliere anche quello della sacca di Debaltseve, lo strategico snodo ferroviario che Kiev non vuole cedere ai miliziani, smentendo l’accerchiamento delle proprie truppe: tesi su cui il leader del Cremlino ha detto di avere dubbi. E già Putin e Poroshenko hanno cominciato a lanciarsi reciproci moniti sulla responsabilità di un eventuale fallimento della tregua e a sbandierare i punti dell’accordo che possono fare incassar loro più consenso. “Non è stata la notte migliore per me, ma è un buon mattino”, ha commentato soddisfatto il presidente russo, che grazie all’accordo congela la minaccia di ulteriori sanzioni europee e allontana forse anche la fornitura Usa di armi a Kiev, continuando a dettare il gioco da una posizione di forza. Anche i separatisti, che si vedono riconosciuta di fatto la porzione di territorio conquistata in questi mesi, hanno dato un cauto benvenuto all’intesa. Poroshenko, che durante il summit aveva tuonato contro le “condizioni inaccettabili” di Mosca, ha voluto sottolineare che “nonostante la tensione e la pressione” l’Ucraina non ha ceduto agli “ultimatum”. E non ha nascosto le difficoltà di implementare l’accordo. Ma a misurarne il valore sono soprattutto i cauti commenti dei leader europei. “Un segnale di speranza, ma ci sono ancora grandi ostacoli davanti a noi”, ha osservato la Merkel, che oggi il Nyt incoronava come il nuovo John Kennedy, “leader del mondo libero”. “Una speranza seria, ma resta ancora molto da fare”, le ha fatto eco Hollande. “Una buona notizia perché dà speranza, ma la speranza non è abbastanza”, ha commentato il presidente Ue Donald Tusk. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Alto rappresentante per la politica Estera, Federica Mogherini: “Un passo avanti molto importante, ma non risolutivo. Si è aperto uno spiraglio: dobbiamo lavorare con tutte le nostre energie per consolidarlo”. Significative anche le parole del presidente della Commissione europea Jean Claude Junker: “Meglio un piccolo accordo, che un fallimento” del negoziato di Minsk. L’intesa, anche se fragile e tutta da verificare sul campo, ha infatti il merito di tener vivo il filo del dialogo sull’orlo del baratro. Anche Barack Obama ha dato il “benvenuto” all’accordo di Minsk ma ha ammonito Putin a “porre fine al suo sostegno ai separatisti” e a “ritirare le armi pesanti e i suoi soldati” dall’est del Paese. L’intesa, secondo la Casa Bianca, “rappresenta un potenziale passo verso una soluzione pacifica”, ma l’accordo “deve ora essere seguito da immediati passi concreti”. “Giudicheremo il rispetto degli impegni della Russia e dei separatisti dai fatti, non dalle loro parole”, ha rincarato il segretario di Stato John Kerry. “Le parti – ha aggiunto – hanno ancora una lunga strada davanti prima di raggiungere la pace e il pieno ripristino della sovranità dell’Ucraina”. E l’opzione di armare Kiev resta sul tavolo.
(dell’inviato Claudio Salvalaggio/ANSA)

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