Sangue sulla preghiera del venerdì in Yemen. Quasi 140 morti

Mideast Yemen

BEIRUT. – Quattro devastanti esplosioni in sequenza in due moschee di Sanaa hanno insanguinato la preghiera del venerdì e lasciato sul terreno un bilancio di vittime altissimo: 137 morti e 350 feriti, il più alto tributo di vittime civili nella storia dello Yemen. Subito su Internet è apparsa una rivendicazione dello Stato islamico sulla stessa piattaforma mediatica dove ieri l’Isis si era assunto la responsabilità per gli attacchi a Tunisi. Ma su questa rivendicazioni ci sono molto dubbi e anche la Casa Bianca non conferma. Sono in corso verifiche – si fa sapere da Washington- “se effettivamente l’Isis abbia una struttura di comando e di controllo in grado di coordinare tali attacchi”. E si ricorda che “spesso l’Isis rivendica la responsabilità di attacchi per scopi puramente propagandistici”. L’ala yemenita di al Qaida, rivale dell’Isis e molto forte nel paese, ha negato ogni coinvolgimento nell’attacco che ha colpito le due moschee controllate dai miliziani sciiti Huthi. Sostenuti dall’Iran hanno preso il potere nella capitale e in ampie zone di un Paese, devastato da conflitti religiosi, tribali e secessionisti. Le esplosioni sono avvenute nel mezzo della preghiera del venerdì nella moschee Badr e Hashush, che si trovano in due diversi quartieri della capitale. Nella moschea Badr un primo attentatore è stato individuato dalla polizia e si è fatto esplodere. Poco dopo è entrato in azione un secondo, che ha ucciso decine di fedeli, tra cui anche sunniti. Una dinamica analoga si è svolta nella moschea Hashush, dove c’è stato un altro bagno di sangue, secondo quanto riferiscono fonti mediche. Un quinto attentatore che si apprestava a farsi saltare in aria in una terza moschea a Saada, roccaforte degli Huthi a nord della capitale, è stato bloccato prima che potesse azionare la cintura esplosiva. Tappeti della preghiera intrisi di sangue, corpi abbandonati su pavimento e coperti da teli colorati, feriti portati fuori dalle moschee con mezzi di fortuna: la foto della strage non lasciano dubbi sulla violenza delle esplosioni. Dagli ospedali è giunta la richiesta urgente di donare sangue per le centinaia di feriti ammassati nelle corsie. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha condannato “gli atti brutali e di grandi barbarie”, affermando che l’impegno delle Nazioni Unite “è di lottare contro queste barbarie”. Ma lo Yemen è da anni lacerato da una lotta interna per il potere in cui si inseriscono anche diversi attori esterni. La guerra armata tra governo centrale, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, e gli Huthi nel nord va avanti dal 2004. In quegli stessi anni, l’ala qaedista locale è riuscita a stabilire roccaforti nel centro e nell’est, mentre il sud è tradizionalmente un feudo dei separatisti, arroccati nel porto di Aden. Il presidente Abed Rabbo Mansur, deposto nei mesi scorsi dagli Huthi, è fuggito proprio ad Aden dove ha trasferito il governo centrale e ieri sia l’aeroporto che il suo palazzo sono stati bombardati da Huthi e forze fedeli all’ex presidente ali Abdullah Saleh. Mentre oggi i qaedisti hanno conquistato una cittadina, al Huta, nella regione meridionale di Lahj, uccidendo 21 agenti.
(di Lorenzo Trombetta/ANSA)

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