Il governo incassa altre due fiducie. Lunedì voto finale

Italicum: sit-in in piazza Montecitorio contro la legge

ROMA. – Il governo ottiene le due altre fiducie sulla riforma elettorale, dopo quella di mercoledì: nel voto della mattina i sì sono stati 350 e i “no” 193; nel pomeriggio ai 342 sì si sono contrapposti solo 15 “no”, dato che le opposizioni hanno deciso di non partecipare alle votazioni, anche perché molti dei propri deputati erano già partiti. L’attenzione si sposta ora sul voto finale al provvedimento, che si terrà lunedì sera e che potrebbe svolgersi a scrutinio segreto, se lo chiederà Forza Italia; cosa che però potrebbe ritorcersi contro le opposizioni.

Queste hanno anche annunciato l’intenzione di promuovere un referendum sull’Italicum, il che lascia intendere che considerino già approvata la legge e persa la battaglia parlamentare. Nelle due fiducie si è ripetuta la non partecipazione al voto da parte di 38 deputati della minoranza del Pd, tra cui big come Enrico Letta, Pierluigi Bersani, Rosi Bindi e Roberto Speranza. Il vicesegretario Lorenzo Guerini ha invitato a ricucire lo strappo.

A spaventare non è tanto il voto finale sull’Italicum, lunedì prossimo, bensì il prosieguo della riforma costituzionale del Senato, all’esame di Palazzo Madama, dove i bersaniani sono determinanti, vista la rottura con Fi. Nella minoranza esponenti come Rosi Bindi, pur ribadendo il dissenso sull’Italicum, escludono scissioni o rotture traumatiche; ma altri come Alfredo D’Attorre o Pippo Civati spingono in questa direzione.

Il primo ha parlato sprezzantemente di Renzi come di un “caudillo”, mentre il secondo ha invitato a promuovere un referendum. Questo strumento è stato evocato anche dagli esponenti delle opposizioni, da Danilo Toninelli (M5s) ad Arturo Scotto (Sel) fino a Mara Carfagna (Fi).

La scelta di lanciare un referendum prima ancora del voto finale di lunedì ha colto in contropiede gli osservatori, dando l’idea che le opposizioni ritengano già persa la battaglia parlamentare. E in effetti, dopo il primo voto di fiducia (i 193 “no” erano già in calo rispetto ai 207 di ieri) diversi deputati delle opposizioni sono partiti, spingendo i capigruppo a non partecipare alla seconda fiducia. Sul voto finale pesa comunque l’incertezza dell’eventuale scrutinio segreto.

Anche se tra i renziani questa eventualità spaventa fino ad un certo punto: il vice-capogruppo Ettore Rosato, ha detto che ai 38 dissidenti si potrà aggiungere una manciata di altri deputati della minoranza o dei partiti piccoli alleati, ma non tanti da scendere sotto i 316 voti ( il punto in cui l’esecutivo ottiene la maggioranza dei voti a Montecitorio) anche perché si punta ai “franchi sostenitori”, e cioè ai deputati delle opposizioni che nel segreto dell’urna voterebbero per l’Italicum.

Cosa che è accaduto martedì quando le pregiudiziali sono state respinte con il voto segreto con numeri più alti che non le successive fiducie a scrutinio palese. In tale ottica lo scrutinio segreto imbarazzerebbe più Fi che lo ha già chiesto per le pregiudiziali: il voto palese obbligherebbe tutti i deputati delle opposizioni a rispettare le indicazioni ufficiali del gruppo, mentre il voto segreto potrebbe anche regalare consensi all’Italicum.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

 

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