Papa: lottare senza compromessi contro la corruzione

Pope Francis celebrates the Pentecostal mass at Saint Peter

CITTA’ DEL VATICANO. – La corruzione “si allarga ogni giorno di più”, e la si deve combattere “senza compromessi”. Papa Francesco è tornato a battere il tasto su uno dei temi che più gli stanno a cuore, la lotta alla corruzione, la necessità di sradicare questa vera e propria piaga che, nella visione del Pontefice argentino, è tra le cause dei maggiori drammi sociali. Lo ha fatto nella messa della solennità di Pentecoste a conclusione, nell’omelia, di una forte esortazione ad accogliere i doni dello Spirito Santo, così come accadde agli apostoli.

“Rafforzati dallo Spirito – che guida, ci guida alla verità, che rinnova noi e tutta la terra,e che ci dona i frutti – rafforzati nello Spirito e dal questi molteplici doni”, ha affermato, “diventiamo capaci di lottare senza compromessi contro il peccato, di lottare senza compromessi contro la corruzione, che si allarga sempre più nel mondo di giorno in giorno, e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace”.

E’ sembrato di riascoltare, in parte, quanto all’inizio di questa settimana il Papa ha detto ai vescovi italiani aprendo la loro assemblea generale, quando li ha sollecitati a “non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”.

Per Francesco quello della corruzione nella società è un tema centrale. Ma nella messa di Pentecoste, concelebrata in una basilica di San Pietro gremita con i cardinali e i vescovi nei tradizionali paramenti rossi, ha rivolto richiami anche alla comunità cristiana, affinché nella Chiesa si evitino “interessi personali” o “rigidi legalismi”. “Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo – ha detto -. La chiusura allo Spirito Santo è non soltanto mancanza di libertà, ma anche peccato”.

“Ci sono tanti modi di chiudersi allo Spirito Santo”, ha quindi spiegato: “nell’egoismo del proprio vantaggio, nel legalismo rigido – come l’atteggiamento dei dottori della legge che Gesù chiama ipocriti -, nella mancanza di memoria per ciò che Gesù ha insegnato, nel vivere la vita cristiana non come servizio ma come interesse personale, e così via”. Il mondo, ha detto, ha bisogno del coraggio, della speranza, della fede e della perseveranza dei discepoli di Cristo”, “ha bisogno dei frutti dello Spirito Santo: ‘amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé'”, elargiti in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace”.

E anche al Regina Caeli, ha sottolineato che “lo Spirito Santo è effuso continuamente anche oggi sulla Chiesa e su ciascuno di noi perché usciamo dalle nostre mediocrità e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo intero l’amore misericordioso del Signore. Questa è la nostra missione!”. E se la festa della Pentecoste “ci fa rivivere gli inizi della Chiesa”, Bergoglio ha insistito osservando che “la Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno”.

“A nessuno la madre Chiesa chiude la porta in faccia – ha aggiunto -, a nessuno! Neppure al più peccatore, a nessuno! E questo per la forza, per la grazia dello Spirito Santo. La madre Chiesa apre, spalanca le sue porte a tutti perché è madre”.

Subito dopo la preghiera mariana, Francesco ha detto di seguire “con viva preoccupazione” e “dolore nel cuore” le vicende dei “numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane”, le migliaia di persone che negli ultimi giorni si sono riversate sulle coste di Indonesia, Malaysia e Thailandia, proprio mentre tante altre di etnia Rohingya fuggono dalla persecuzione in Myanmar.

“Esprimo apprezzamento per gli sforzi compiuti da quei Paesi che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere queste persone che stanno affrontando gravi sofferenze e pericoli – ha affermato -. Incoraggio la comunità internazionale a fornire loro l’assistenza umanitaria”.

E infine ha ricordato che cent’anni fa, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava “nella Grande Guerra, quella ‘strage inutile'”, come la definì allora Benedetto XV: “Preghiamo per le vittime, chiedendo alla Spirito Santo il dono della pace”, ha concluso.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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