Sulle riforme scontro totale nel Pd. Sinistra non cede

Il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia
Il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia
Il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia

ROMA. – Liti su twitter, botta e risposta al veleno e la sensazione che, ad oggi, le parti siano davvero distanti. E’ scontro totale, sulle riforme costituzionali, nel Pd. Dopo il weekend ad alta tensione, nel quale la frattura tra renziani e minoranza Dem è andata ben oltre il confine del ddl Boschi, neanche l’inizio dell’ultima settimana parlamentare non sembra essere iniziato con il piede giusto per una ricomposizione. Da un lato i renziani non rinunciano a pungolare la sinistra del partito; dall’altro, la minoranza Pd rimane ferma sulle proprie posizioni e sulla necessità di cambiare l’articolo 2 del testo ( Senato elettivo).

Un accordo tra le parti sembra al momento lontano. Governo e maggioranza Pd prima di presentare i propri emendamenti, attendono le ‘mosse’ degli altri partiti e della minoranza (una ventina – e quasi tutte radicali – le proposte di modifica annunciate). La giornata chiave resta quella di venerdì, quando, oltre a scadere il termine per gli emendamenti, potrebbe arrivare, in merito all’articolo 2, il responso del presidente Pietro Grasso. Decisione alla quale già la scorsa settimana la più alta carica di Palazzo Madama aveva fatto riferimento rilevando “la contraddizione” presente nell’art. 2 del testo in merito alla durata del mandato dei futuri senatori. E provocando così l’irritazione dei renziani, consapevoli dei rischi connessi alla ‘riapertura’ dell’articolo.

E, in vista di venerdì, la tensione nel Pd resta altissima. “Chiunque sia sano di mente capisce che andremmo soltanto ringraziati. Con il ddl Boschi si rompono gli equilibri costituzionali”, è il sasso lanciato da Corradino Mineo che incassa la risposta prima del collega Andrea Marcucci (“basta insulti) e poi del vice capogruppo Giorgio Tonini (“mi dichiaro malato di mente, per me è un buon ddl”). “Gli aut aut sono irricevibili, non si può dire: o questa riforma o si consegna il paese a Grillo.

Vietnam è una parola sbagliata: nessun Vietnam, ma neanche ordini dall’alto”, rincara la dose Roberto Speranza al quale risponde Ernesto Carbone, che su Twitter prima ironizza sul “contributo” dell’ex capogruppo alle riforme (“sarà altrettanto determinate come quello che ha dato all’Italicum”) e poi risponde, piccato, ad una provocazione di Miguel Gotor, che gli suggeriva indirettamente del maalox.

Scaramucce che non aiutano certo un dialogo su un ddl sul quale i costituzionalisti Enzo Cheli, Emanuele Rossi, Mario Dogliani e Giuseppe De Vergottini, auditi oggi in Affari Costituzionali, hanno espresso le proprie perplessità mostrando di preferire il testo uscito nell’agosto scorso dal Senato e paragonando, con Dogliani, alcune parti ad “un regolamento di condominio”.

Dalla maggioranza Pd, però, arrivano le rassicurazioni che tutto “è sotto controllo” e che il percorso non subirà rallentamenti benché, anche con l’arrivo dei ‘verdiniani’, i ’25’ no che potrebbero arrivare dalla minoranza potrebbero davvero far cadere l’impianto. Un rischio da evitare o con l’apporto di FI o con un punto di caduta interno al Pd.

Ipotesi, quest’ultima, ancora lontana anche se, sul finire della settimana un elemento potrebbe stemperare la tensione interna: l’incardinamento prima della pausa estiva del ddl unioni civili in Aula senza mandato al relatore.

(di Michele Esposito/ANSA)

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