La Cina arranca, sale la pressione per nuovi stimoli alla crescita

Borsa cinese
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ROMA. – La Cina continua a inanellare una serie di segnali poco confortanti sul fronte economico e cresce la pressione sul Governo centrale perché arrivino presto nuovi stimoli alla crescita. Dopo che il Pil del secondo trimestre ha fatto segnare un +7% perfettamente identico al dato del primo trimestre ed alle stime del Governo per fine anno, sollevando qualche dubbio fra gli analisti sull’affidabilità delle statistiche del Paese, il Dragone ha iniziato il secondo semestre con dati allarmanti, sia per quanto riguarda il commercio internazionale che la produzione interna.

L’export a luglio è sceso dell’8,3% rispetto ad un anno fa, cancellando il +2,8% di giugno, mentre l’import è sceso per il nono mese di fila, con un -8,1% a luglio che segue il -6,1% di giugno. A testimoniare una domanda interna che stenta a decollare, tendenza confermata anche dai dati sui prezzi alla produzione, che con il -5,4% di luglio fanno segnare la peggior flessione dall’ottobre del 2009 e peggiorano il già negativo -4,8% di giugno. Unica nota leggermente positiva, l’inflazione, che torna un poco a salire, attestandosi all’1,6% contro l’1,4% di giugno, sebbene ancora molto sotto il tetto del 3% fissato dal Governo per la fine del 2015.

Una serie di indicazioni che mostrano come l’azione della Banca centrale cinese, la Banca del Popolo che da novembre 2014 ad oggi ha tagliato i tassi di interesse 4 volte, non produca ancora gli effetti sperati. La stessa crescita del 7% attesa per l’intero anno sarebbe comunque la più bassa da oltre 20 anni, senza considerare il probabile impatto sul Pil del crollo dei corsi azionari cinesi, che dal picco di metà giugno ad oggi hanno lasciato sul campo qualcosa come 4.000 miliardi di dollari di capitalizzazione.

“La politica monetaria deve diventare ancora più espansiva”, è il coro unanime degli analisti che seguono la Cina, dalla quale si attendono un taglio di 50 punti base del tasso sui depositi che le banche devono tenere come riserva. Ma, spiega Tim Condon di Ing, “sta crescendo la pressione sulla Banca centrale perché lasci lo yuan libero di deprezzarsi” e dare così sostegno alle esportazioni, “ma non penso che cederanno a breve a queste pressioni”.

La soluzione che Pechino sembra avere in mente passa per le infrastrutture: è di questi giorni l’indiscrezione secondo la quale la Cina intenderebbe emettere circa 161 miliardi di dollari in obbligazioni destinante a finanziare progetti edilizi.

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