Cresce occupazione stabile. Renzi, Jobs Act la via giusta

Disoccupazione
Un momento dell'inaugurazione di IoLavoro.. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO
Un momento dell'inaugurazione di IoLavoro, Torino, 10 Ottobre 2013. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO
Un momento dell’inaugurazione di IoLavoro, Torino, 10 Ottobre 2013. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

ROMA. – Mercato del lavoro che diventa più ‘stabile’ nel primo semestre del 2015. Da gennaio a giugno, secondo i dati dell’Osservatorio Inps sul precariato, la “quota di assunzioni con rapporti stabili sul totale dei rapporti di lavoro attivati/variati”, cresce dal 33,6% del primo semestre 2014 al 40,8% dei sei mesi 2015. In altre parole, passano da tre a 4 su 10 i nuovi contratti a tempo indeterminato che sono sottoscritti o vengono trasformati. Effetto del Jobs Act, come sottolinea prontamente il premier Matteo Renzi, che parla della riforma come di una “occasione da non perdere, soprattutto per la nostra generazione” e indica i dati Inps come la dimostrazione che “siamo sulla strada giusta contro il precariato”.
Cifre che peraltro rinsaldano il Pd nella battaglia con le opposizioni sulle riforme istituzionali, visto che, dice il responsabile economico Filippo Taddei, in totale sintonia con il vicesegretario Dem Lorenzo Guerini, “noi contiamo i posti di lavoro in più, loro il numero degli emendamenti”.

Certo, una spinta ad assumere senza scadenze (+36% nel settore privato rispetto allo scorso anno, a 952.359) e a stabilizzare i contratti già attivi (331.917 le trasformazioni a tempo indeterminato del primo semestre, +30,6% rispetto al 2014) è arrivata anche dalla decontribuzione per tre anni introdotta con la legge di Stabilità per i contratti stipulati quest’anno, pensata proprio per sostenere da un lato il Jobs Act e per rendere i contratti stabili più convenienti degli altri. Una misura che sta funzionando e che l’esecutivo sta studiando come prorogare per il prossimo anno.
La sede della rimodulazione degli sgravi, che potrebbero concentrarsi sulle regioni del Mezzogiorno, sarà la legge di Stabilità che il governo ha già messo in cantiere. E che dovrebbe contenere anche la flessibilità in uscita per rendere più ‘morbida’, senza snaturarla, la legge Fornero sulle pensioni. Anche questo intervento, come ha detto più volte il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, potrebbe avere un effetto sull’occupazione, favorendo quel ‘ricambio generazionale’ chiesto a gran voce anche dalle imprese.

Per applicare maggiore flessibilità alle pensioni ancora non è stato stabilito il modello, ma sul tavolo ci sono diverse proposte, da quella a prima firma Damiano già all’esame del Parlamento (che prevede penalizzazioni crescenti all’aumentare dell’anticipo dell’uscita, tra il 2 e l’8%) e quella meno costosa per le casse pubbliche ma più onerosa per i futuri pensionandi, elaborata dal presidente dell’Inps Tito Boeri. Gli uffici sono al lavoro, anche per vagliare le stime macro in vista della nota di aggiornamento del Def di settembre, ma nessuna decisione è stata ancora presa, spiegano al Tesoro. Anche perché bisognerà mettere in fila da un lato tutti gli interventi oggi ancora al livello di ipotesi e dall’altro le risorse necessarie per attuarli.

Una mano potrebbe arrivare dalla crescita, che l’Ocse vede “in consolidamento” per il nostro Paese come per la Francia, mentre per la Germania “è atteso uno slancio di crescita stabile”. Se dovesse essere più sostenuta di quanto previsto ‘con prudenza’ finora, ci sarebbero più margini di manovra, che si potrebbero ottenere anche, come spiegato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dalla gestione “migliore possibile” della flessibilità Ue che si riuscirà a spuntare. Nel governo ci sarebbe chi accarezza l’idea di puntare su un ulteriore slittamento del pareggio di bilancio, che consentirebbe di avere più risorse da impegnare subito per sostenere la ripresa, anche se, viene spiegato, si cercherà di vedere se non è necessario, perché la richiesta sarebbe difficilmente digeribile da Bruxelles. E resta in campo anche l’ipotesi, anche questa tutta da verificare, di programmare per il 2016 un rapporto deficit/Pil ancora oltre il 2% (quindi comunque in calo sul 2015), rispetto all’1,8% attualmente previsto per il prossimo anno. Una scelta che permetterebbe di liberare fino a 6-7 miliardi, se si scegliesse di portarlo al 2,2%.

(Silvia Gasparetto/Ansa)

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