Pensioni, ritocchi in due tempi. A settembre misure per gli esodati

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ROMA. – Un primo passo, già a settembre, con cui si chiuderà la partita esodati e si renderà più facilmente accessibile la cosiddetta ‘opzione donna’, l’uscita anticipata in cambio del ricalcolo contributivo dell’assegno. E un secondo round, quello più delicato, subito dopo, quello sulla flessibilità in uscita che dovrebbe arrivare a mitigare le regole rigide per la pensione imposte dalla riforma Fornero.

Comincia a prendere forma ‘in due tempi’ l’intervento in materia previdenziale che il governo ha messo in cantiere per l’autunno. L’accordo per dare il via libera alla settima salvaguardia per gli esodati e per sbloccare ‘opzione donna’ c’è, assicura il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano, dopo aver parlato sia con Pier Carlo Padoan che con Giuliano Poletti e dopo due incontri tra commissione, ministeri dell’Economia e Ragioneria.

Ora la conferenza dei servizi dovrà certificare le risorse stanziate ma non impegnate per le prime sei salvaguardie, che l’Inps stima in 3,3 miliardi fino al 2022, che serviranno per il nuovo intervento. Ma già il 9 settembre è fissato un nuovo incontro e il nodo dovrebbe essere sciolto. Di meno facile composizione sembra la partita della flessibilità, anche perché le divergenze cominciano già in casa Pd, e in un quadro di margini di spesa ridotti all’osso, visti già i numerosi impegni che il governo si è preso per la prossima manovra. E a mettere subito un paletto chiaro ci pensa il viceministro dell’Economia, Enrico Mordano, secondo il quale interventi “di aggiustamento” ci possono essere ma solo a patto che le risorse si trovino all’interno del sistema previdenziale, senza chiamare in causa il bilancio pubblico. Anche perché le risorse, scarse, è meglio concentrarle per “aiutare le situazioni di povertà assoluta”.

Se questa sarà la linea dell’intero esecutivo diventerebbe così di difficile attuazione la proposta già all’esame della Camera, quella a prima firma Damiano, che almeno in fase di avvio avrebbe bisogno di essere finanziata. Damiano che a sua volta respinge categoricamente ipotesi di scambiare la possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro in cambio del ricalcolo con il sistema contributivo dell’assegno, che comporterebbe penalizzazioni troppo alte, rendendo peraltro poco appetibile l’opzione, che invece va pensata per avere successo e favorire il ricambio generazionale.

Ma la sua proposta un costo ce l’ha, anche se, sottolinea l’esponente della minoranza Dem, le stime fatte dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che aveva parlato di circa 10 miliardi “sono esagerate”. E’ un calcolo che tornerebbe, spiega, se tutti i potenziali pensionandi approfittassero della finestra per andare in pensione prima (si prevede una uscita anticipata da 62 anni con 35 di contributi e una penalizzazione dell’8% che va a scalare al ridursi dell’anticipo). Il tema, insomma, è delicato e una decisione, si ripete nel governo, di sicuro non sarà presa prima di settembre.

Intanto Matteo Renzi, che pure aveva assicurato l’intenzione di intervenire, così come Padoan e Poletti, rimane concentrato su Sud e lavoro, e assicura che, visti i primi risultati incoraggianti, c’è tutta l’intenzione di “costruire e investire ancora”. I dati diffusi dall’Inps, scrive nella sua rubrica delle lettere su L’Unità, mostrano “una disparità tra regioni del centro nord e sud che ci riporta a quanto abbiamo detto nella recente direzione del Pd, sulla priorità da mettere sulle aree del mezzogiorno”.

E una conferma che il governo interverrà ancora per ridurre il costo del lavoro arriva anche dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, che spiega che ancora non si è deciso se farlo “con la prosecuzione della decontribuzione per i neoassunti, selettiva o meno (ad esempio solo per il Sud). O con un taglio del cuneo fiscale per tutti” che costa “2 miliardi” ogni punto in meno. Di sicuro, aggiunge, “Interverremo anche per favorire il lavoro autonomo”.

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