Le Borse cinesi crollano, Pechino interviene ed è panico

A woman looks at an electronic stock indicator of a securities firm in Tokyo, Tuesday, July 28, 2015. (ANSA/AP Photo/Shizuo Kambayashi)
A woman looks at an electronic stock indicator of a securities firm in Tokyo, Tuesday, July 28, 2015. (ANSA/AP Photo/Shizuo Kambayashi)
A woman looks at an electronic stock indicator of a securities firm in Tokyo, Tuesday, July 28, 2015. (ANSA/AP Photo/Shizuo Kambayashi)

MILANO – Se non ci sei mi preoccupo, se ci sei mi preoccupo ancora di più. E’ in questa contraddizione che sembrano essere cadute le Borse cinesi, che hanno ceduto oltre il 6% guardando alla presenza o meno del governo sul mercato. E gli operatori hanno clamorosamente bocciato le scelte di Pechino, con un calo finale sia del listino di Shanghai sia di Shenzhen di oltre il 6%.

Secondo gli analisti internazionali il ‘panic selling’ scattato sul finale di seduta è nato soprattutto da un elemento: con le vendite che si stavano registrando nella prima parte della giornata in genere si assisteva a un intervento diretto di sostegno al mercato da parte del governo. Invece nulla. I ribassi così si ampliavano e quando si è mossa la Banca centrale di Pechino con la maggiore iniezione di liquidità degli ultimi tempi per quasi 17 miliardi di euro si è scatenato l’effetto contrario: l’intervento era talmente elevato che gli operatori hanno avvalorato l’ipotesi che i problemi fossero davvero seri. E quindi hanno venduto con ancora maggiore intensità.

Ma anche il clima generale ha molto favorito il crollo: da metà giugno, quando le Borse cinesi hanno toccato ampiamente i massimi post crisi, i listini del gigante asiatico hanno ceduto il 27%, con molti investitori che stanno concretizzando i guadagni. E’ il tema della fuga dei capitali dai cosiddetti Paesi emergenti: negli ultimi due mesi si sta registrando la maggiore uscita degli ultimi sette anni di fondi da questi mercati e le Borse cinesi sembrano soffrire particolarmente, con l’intervento in ‘pronti contro termine’ della People’s Bank che ha rafforzato l’idea che il flusso non si stia fermando, anzi.

E le ragioni di questa fuga appaiono chiare: i mercati emergenti sono sotto pressione anche per il rafforzamento del dollaro, che porta a scarse remunerazioni degli asset finanziari e dei bond dei Paesi emergenti, oltre che delle loro valute. Il rublo precipita da mesi, il ringgit della Malesia (una delle nazioni maggiormente sotto l’attacco della speculazione) anche e Pechino in questo quadro ha dovuto svalutare lo yuan per mantenere competitive le proprie esportazioni.

Gli analisti si aspettano che le sorprese dalla moneta cinese non siano finite, ma per ora il crollo delle Borse ha influito poco sugli altri mercati asiatici ed europei. Bangkok ha infatti chiuso in calo del 2% dopo l’attentato nel centro della capitale, Sidney di oltre un punto percentuale ma ancora sulla debolezza delle materie prime, Tokyo ha tenuto insieme agli altri principali listini dell’area. In Europa le Borse hanno registrato cali frazionali mentre Wall Street aspetta segnali della Federal Reserve sui tassi.

In Cina la volatilità è invece attesa ancora alta, con una seconda contraddizione: il mercato immobiliare migliore delle previsioni fa temere che il governo possa allentare gli stimoli all’economia. Anche in vista del piano quinquennale che dovrebbe arrivare nel 2016, mentre i mercati chiedono una cosa sola: la dose giornaliera di capitale fresco.

(Alfonso Neri/ANSA)

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