Corea del Nord: Obama alza la voce, allo studio nuove sanzioni

A South Korean protester burns the defaced pictures of North Korean leader Kim Jong Un during a rally in Seoul, South Korea, Thursday, Jan. 7, 2016, (ANSA/AP Photo/Ahn Young-joon)
A South Korean protester burns the defaced pictures of North Korean leader Kim Jong Un during a rally in Seoul, South Korea, Thursday, Jan. 7, 2016,  (ANSA/AP Photo/Ahn Young-joon)
A South Korean protester burns the defaced pictures of North Korean leader Kim Jong Un during a rally in Seoul, South Korea, Thursday, Jan. 7, 2016, (ANSA/AP Photo/Ahn Young-joon)

NEW YORK. – Una provocazione. Un gesto incosciente. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama alza la voce contro l’ultimo test nucleare del regime di Pyongyang. E al telefono con i suoi più stretti alleati in Estremo Oriente – il presidente sud coreano Park Geyun-Hye e il premier giapponese Shinzo Abe – parla della necessità di una “risposta internazionale forte e unitaria”, ribadendo “l’irremovibile sostegno” degli Usa ai paesi partner.

La condanna unanime del Consiglio di sicurezza dell’Onu è già un primo passo importante. E apre la strada a nuove sanzioni che isolino ulteriormente la Corea del Nord dal resto del mondo. Ma non basta. Sul tavolo della Casa Bianca ci sono diverse opzioni, tra cui anche il dispiegamento di armi strategiche: ne hanno parlato il numero uno del Pentagono, Ash Carter, con il ministro della difesa sudcoreano Hano Mon Koo, invocando “una reazione adeguata”.

E probabilmente ne ha parlato anche il segretario di Stato John Kerry nelle telefonate con i ministri degli esteri di Seul e Tokyo. Allo studio anche l’avvio di colloqui con Corea del Sud, Giappone, Cina e Russia per la messa a punto di veri e propri “piani di emergenza”.

Intanto il presidente americano ha inviato nella regione il vicesegretario di stato, Tony Blinken, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Susan Rice, ha parlato con l’ambasciatore di Pechino a Washington. E’ infatti ben chiaro all’amministrazione statunitense che senza la Cina, finora principale alleato del regime di Pyongyang, ben poco di realmente efficace può essere fatto. Anche per determinare gli auspicati cambiamenti del regime.

Nell’area nel frattempo sale la tensione, con aerei da ricognizione americani decollati dalla base sull’isola di Okinawa, nel sud del Giappone, con l’obiettivo di raccogliere più prove possibili sulla presunta esplosione di una bomba ad idrogeno. Ma soprattutto con la decisione di Seul di riprendere la propaganda anti-Pyongyang con gli altoparlanti al confine fra le due Coree (che era stata interrotta lo scorso agosto come gesto di distensione) e di limitare l’accesso alla zona industriale di Kaesong, condivisa tra i due stati.

La mossa di Kim Jong-un, comunque, è riuscita in quello che era almeno uno degli intenti: mettere ancora una volta in difficoltà la strategia di politica estera di Obama, già messa a dura prova non solo dalla lotta all’Isis ma negli ultimi giorni dalle fortissime tensioni tra Arabia Saudita e Iran.

I detrattori accusano il presidente americano di aver per troppo tempo trascurato i rischi dalla penisola coreana, sottovalutando la minaccia nucleare rappresentata da Pyongyang e concentrandosi solamente sull’accordo sul programma nucleare dell’Iran.

Gli esperti, pur sottolineando come l’arsenale nucleare nordcoreano sia al momento limitato, da tempo mettono in guardia dal fatto che entro l’anno le testate a disposizione di Pyongyang possano essere almeno 20, al pari di Paesi come il Pakistan. Con un netto miglioramento della mobilità del sistema missilistico, che rende più difficile la sua individuazione.

Qualcuno si spinge a dire che negli anni a venire la minaccia potrebbe riguardare non solo Corea del Sud, Giappone e le forze americane nel Pacifico, ma anche la West Coast americana.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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