Cina alle prese con deflazione, fiato sospeso in borsa

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MILANO. – La bassa inflazione non dà pensiero solo alla Bce di Mario Draghi. Anche la People’s Bank of China (Pboc) è alla prese con prezzi al palo, pari alla metà dell’obiettivo (3%) che il governo si era dato per il 2015, e senza segni di ripresa (come del resto l’economia) neanche per quest’anno.

Al termine di una settimana da dimenticare sui listini mondiali, penalizzati proprio dal fattore Cina che rischia di condizionare ancora i mercati alla riapertura di lunedì – prevista alta volatilità – Pechino ha diffuso i dati sull’inflazione a dicembre. La crescita si ferma all’1,6% (era all’1,5% a novembre) in un trend discendente partito dopo il 2% toccato ad agosto. Peggio ancora l’indice dei prezzi alla produzione, in caduta del 5,9% (gli analisti prevedevano -5,8%) per il quinto mese consecutivo.

I dati non sono una buona notizia, tanto più che arrivano dopo i ripetuti interventi della banca centrale negli ultimi mesi per tagliare i tassi e per abbassare il livello delle riserve obbligatorie delle banche, portato al 17,5% a ottobre insieme al ribasso (al 4,35%) del tasso sui prestiti a un anno, l’altro strumento utilizzato dalla Pboc.

Se nella seconda economia mondiale resta lo spettro della deflazione ci sono tuttavia spazi per ulteriori misure espansive di politica monetaria che facciamo da stimolo a un’economia che, dopo il boom degli ultimi anni, soffre di un rallentamento fisiologico.

Le previsioni degli economisti variano: c’è chi si attende nel 2016 un altro paio di tagli dei tassi nell’ordine dello 0,5% complessivo e chi si aspetta piuttosto un ulteriore abbassamento delle riserve obbligatorie (di un paio di punti percentuali) che avrebbe il vantaggio di non destabilizzare ancora lo yuan, già sceso nella prima settimana di gennaio ai minimi degli ultimi cinque anni, complice il deprezzamento deciso dalle autorità di Pechino.

In vista di lunedì, l’attenzione degli investitori è ancora puntata, oltre che sull’andamento del petrolio, su Shangai, risalita venerdì scorso sopratutto grazie ad acquisti da parte di fondi pubblici intervenuti all’indomani del crollo e dello stop automatico (poi rimosso) degli scambi.

Non ci sono invece in arrivo altri dati rilevanti sullo stato di salute dell’economia cinese. Indicazioni di carattere macroeconomico arriveranno piuttosto dagli Stati Uniti con le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione (il 14 gennaio) e le vendite al dettaglio a dicembre (il 15) che saranno precedute il 13 in serata dal Beige book della Fed, dopo il rialzo dei tassi deciso dalla banca centrale Usa a dicembre.

Tornando in Europa, venerdì 15 è in agenda a Berlino un incontro tra Draghi e la cancelliera tedesca Angela Merkel per uno scambio di vedute sulle attuali questioni dell’Eurozona.

(di Marcella Merlo/ANSA)

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