Venezuela: Inflazione, “bestia nera” dell’economia

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Incredibile ma vero. A gennaio, se si da credito al “Centro de Documentación y Análisis Social” della Federazione dei Maestri, e vista la serietà e l’autorevolezza dell’organismo non ci sono motivi per dubbi e perplessità, a una famiglia di cinque persone non erano sufficienti 16 stipendi per l’acquisto del carrello della spesa. Il suo costo, infatti, è stato calcolato attorno ai 157mila 833 bolívares.

Sempre secondo il Cenda, il carrello della spesa, in un anno – gennaio 2015, gennaio 2016 – ha subito un aumento del 395 per cento. Quasi il triplo del tasso d’inflazione reso noto dalla Banca Centrale del Venezuela. L’Istituto, dopo un silenzio durato mesi, ha informato che l’incremento dei prezzi nel 2015 è stato del 141,5 per cento.

L’inflazione, quindi, resta la “bestia nera” dell’economia venezuelana che, con un Prodotto Interno Lordo negativo oltre il 7 per cento, affronta una recessione profonda. A risentire del Pil in decadenza e dell’inflazione che mai nel Paese era stata così elevata, sono la classe media e gli strati più umili della popolazione, quelli meno abbienti.

Il controllo dei prezzi severo, le accuse di speculazione nei confronti d’industriali e commercianti, gli espropri e le nazionalizzazioni di complessi produttivi non sono riusciti a modificare una realtà che oggi spaventa.

Mancano alimenti e medicine e i pochi reperibili hanno prezzi inaccessibili per la stragrande maggioranza dei venezuelani. Così si spiegano, nonostante l’inclemenza del sole tropicale, le lunghe file di consumatori alle porte dei supermarket e delle farmacie, in attesa di poter acquistare quei prodotti, sempre più uccel di bosco, venduti a un prezzo politico, perché sussidiati dallo Stato.

L’inflazione, in sé, potrebbe non essere un fenomeno negativo. Anzi, come spiegano i paladini del keynesianismo, potrebbe avere effetti positivi sulla produzione, se è il riflesso di un maggior dinamismo dell’economia. Insomma, se frutto del “circolo-virtuoso” domanda-produzione-occupazione-domanda.

In Italia, il premier Renzi ha chiesto all’Unione Europea una maggiore flessibilità per creare stimoli che aiutino a lasciare definitivamente alle spalle la crisi economica e, soprattutto, lo spettro della deflazione. Fu con questo spirito che si approvò il “bonus” degli 80 euro, il cui impatto è poi stato alquanto modesto.

In Venezuela, la spirale dell’inflazione, stando agli esperti, è il risultato di un mix di politiche economiche errate. Ad esempio, espropri e nazionalizzazione di industrie, provvedimenti ed eccesso di permessi burocratici che alimentano la corruzione, incrementano le spese dell’industria privata e frenano gli investimenti, controllo dei prezzi, del tasso di cambio e blocco dei licenziamenti, eccesso di importazione di beni di consumo venduti poi a prezzi politici.

Se in un passato recente, con il barile di petrolio attorno ai 100 dollari era possibile l’esistenza di uno Stato centralizzatore delle attività economiche e assistenzialista nei confronti dei consumatori, oggi, con prezzi del barile del greggio a meno di 30 dollari, non lo è più. E così, il castello di creta costruito dal “chavismo” si sta disintegrando e vanno emergendo tutte le contraddizioni della politica economica che hanno caratterizzato gli ultimi 15 anni.

Oggi, alcuni economisti suggeriscono di fare chiarezza sull’economia, ridurre la spesa e, attraverso una politica monetaria ristrettiva, abbattere la domanda e il consumo. Ma ciò avrebbe riflessi negativi sulla qualità di vita della stragrande maggioranza della popolazione. Altri economisti, invece, consigliano di agire sull’offerta, allentando i controlli e approvando provvedimenti che siano di stimolo per l’industria nazionale e per favorire nuovi investimenti. Così facendo, si ridurrebbero le importazioni e si stimolerebbe l’occupazione nelle fabbriche, fenomeno che permetterebbe di sfoltire l’eccessiva burocrazia statale; burocrazia che ha appesantito la macchina amministrativa dello Stato.

Solidità e robustezza. Il Venezuela ha registrato tradizionalmente una grande stabilità dei prezzi. Non a caso, dagli anni ’70 a metà degli anni ’80, all’estero si osservava con stupore come il nostro Paese fosse riuscito a sfuggire al fenomeno inflazionario proprio dei paesi in via di sviluppo. La robustezza dell’economia, allora, era vincolata alle entrate petrolifere – mai, sia detto per inciso, così elevate come quelle ricevute negli ultimi 15 anni – che permettevano di mitigare attraverso le importazioni le pressioni su una domanda che l’industria nazionale emergente non riusciva a soddisfare.

Lo sviluppo industriale del Paese, dagli anni ’60, è condizionato dalle correnti di pensiero che fanno capo a Raul Prebish e alla Cepal. E’ l’Industrializzazione Sostitutiva delle Importazioni che, nonostante le tante deficienze e devianze, permise allora di iniziare la costruzione di un tessuto produttivo tra i più moderni di questa parte del continente americano.

Sebbene in permanente contrasto, mai Stato – tacciato di paternalista – e industria – accusata di dipendenza dallo Stato – si sono considerati reciprocamente nemici da sconfiggere.

L’inflazione in Venezuela, fino a metà degli anni ’70, si è aggirata attorno all’1,60 per cento. Poi, ha cominciato a salire la china. Nel 1973 è stata del 4,3 per cento. L’anno successivo dell’8,27 per cento. Nel 1975, del 10,18 per cento. Quindi, fino alla prima metà degli anni ’80 si è fermata tra il 7 e l’8 per cento.

L’inflazione moderata che ha caratterizzato il Venezuela dagli anni sessanta alla seconda metà degli anni ’80, contrasta con la spirale dei prezzi nei paesi industrializzati. In Italia, ad esempio, il tasso d’inflazione nel 1976 e 1979 fu del 20 per cento, per poi scendere progressivamente. Ma è solo dal 1995 in avanti che l’inflazione si stabilizza al di sotto del 3 per cento.

Ieri l’inflazione in Venezuela è stata il prodotto della somma di fattori esogeni – tra i tanti, crisi del “debito estero”, provocata dall’incremento dei tassi d’interesse nei paesi industrializzati, e rivalutazione della moneta in Giappone ed Europa – ed endogeni – tra questi, rigidità e debolezza della struttura produttiva, aumento della spesa pubblica, allentamento del controllo dei prezzi che è sempre esistito -. Oggi, invece, è essenzialmente il risultato di politiche economiche che, se non corrette, potrebbero condurre verso un’esplosione sociale dalle conseguenze imprevedibili.

Il Tavolo dell’Unità, che ha conquistato la maggioranza al Parlamento, vede come unico cammino per un giro di boa economico l’uscita dalla scena politica del presidente Maduro. E la realtà pare dargli ragione. Il conflitto di potere tra la Corte Suprema e il Parlamento, infatti, non contribuisce a creare il clima di serenità di cui ha bisogno il Paese.

Come scrive Luis Vicente Leòn sul portale Prodavinci, la legittimità delle decisioni della Corte è incontestabile. Quindi, con una tale responsabilità sulle spalle, questa dovrebbe essere un’istituzione tecnica, indipendente e non simpatizzante di correnti politiche. Ma, è la domanda che ci si pone, il desideratum rispecchia la realtà?

Il Tavolo dell’Unità, in questa partita a scacchi, ha deciso di scommettere sulle dimissioni del capo dello Stato o sul “Referendum Revocatorio” o sull’emendamento alla Costituzione. Giacché sarà poco probabile ottenere le dimissioni del presidente Maduro, le prossime mosse del Tavolo dell’Unità nello scacchiere politico saranno necessariamente orientate verso il “Revocatorio” o l’“Emendamento”.

I tempi, assai stretti per la realizzazione di un “Referendum Revocatorio” suggeriscono che l’Opposizione porrà immediatamente l’accento su quest’ultimo. D’altronde, un emendamento alla Costituzione, per ridurre il periodo presidenziale da 6 a 4 anni, come proposto dai deputati del Tavolo dell’Unità, dovrebbe passare per le “forche caudine” della Corte, che potrebbe sentenziarne l’illegittimità o, comunque, stabilirne la vigenza dall’elezione del prossimo capo dello Stato.

Il timore dell’ala meno radicale dell’Opposizione è che il Tavolo dell’Unità, impegnato nel “Referendum Revocatorio” e nell’emendamento Costituzionale, possa dimenticare i prossimi appuntamenti elettorali. La storia insegna che il potere politico si conquista a piccoli passi. Ed essi, in un paese democratico, passano inevitabilmente per l’esame delle urne. Sono questi che permetteranno di ristabilire gli equilibri politici, porre freno alla recessione e, in ogni caso, evitare che l’esasperazione dei cittadini possa sfociare nella violenza.

(Mauro Bafile/Voce)

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