Sanders e Cruz resistono, nonostante tutto

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NEW YORK – Sorprese e contraddizioni. La campagna elettorale si fa sempre più avvincente. E anche se Hillary Clinton e Donald Trump continuano a dominare la scena nei rispettivi partiti, né Bernie Sanders né Ted Cruz si arrendono.

La nostra Comunità, come d’altronde il resto del Paese, segue il susseguirsi di colpi di scena con curiosità e interesse. E, talvolta, si rivolgono a brokers puntando sull’uno o sull’altro candidato. Nella “City”, ma anche a New York, dopo il “super-tuesday” le quotazioni di “The Donald” e di Clinton, come era da supporre, hanno subito un’impennata importante. Ma i brokers non hanno pulito la lavagna. E su essa non appaiono solo i nomi dei due “frontrunner” ma anche quelli degli immediati inseguitori: Ted Cruz e Bernie Sanders.

In casa dei repubblicani prosegue, senza esclusione di colpi, la sfida tra il magnate del mattone e il senatore di origini cubane. Le aspirazioni di Marco Rubio, invece, pare siano arrivate definitivamente al capolinea. Praticamente fuori corsa, si attende il suo endorsement alla candidatura di Cruz. La “nomination”, quindi, si è trasformata in una corsa a due. Ma non si sa come Cruz possa riuscire a far deragliare la “locomotiva Trump”, in corsa verso il successo.

Tutti contro “The Donald”. L’establishment repubblicano, simboleggiato dalla Grand Old Party” ha serrato i ranghi, nel timore che il Tycoon newyorchese possa ottenere la “nomination”. Ma mentre il Super-Pac dei miliardari guidati da Meg Whitman di Hewlett-Packard, gli imprenditori della Sillicon Valley e i capi del partito repubblicano si sforzano di frenare le aspirazioni di Trump, la base elettorale del partito dell’elefante continua a crederci. La maggioranza relativa, nei sondaggi, è con Trump mentre Cruz spera che alla fine possa prevalere il buon senso.

Donald Trump, nonostante le innumerevoli gaffe, i suoi gesti da “ducetto” e, ultimo nella linea di tempo, il suo saluto nazista, pare incarnare lo spirito dell’americano medio, specialmente quello conservatore e reazionario che sopravvive fuori dalle metropoli. Per molti americani la sua candidatura è diventata un vero incubo; incubo che ha prodotto un boom di consulte presso studi di psicologi. Fenomeno non estraneo in epoca di elezioni ma che, in quest’occasione, ha raggiunto livelli inimmaginabili.

In casa del partito dell’asinello l’atmosfera che si respira è un’altra. Ormai, dai sondaggi e dai caucus è emersa una realtà inequivoca: Sanders è sempre il candidato preferito dei “giovani bianchi” e di quella fascia di americani scontenti che spera in un giro di boa. I suoi discorsi non spaventano più di tanto. Anzi, riescono a far breccia anche tra i democratici moderati. Il trionfo, anche se di misura in Michigan dimostra che i sentimenti anti-Wall Street e il desiderio di un welfare più incisivo serpeggiano tra l’elettorato.

L’ex First Lady, dal canto suo, trionfa negli Stati del Sud, dove la comunità afroamericana e latinoamericana è assai numerosa. I risultati ottenuti in Mississippi ne sono riprova. La “nomination” nel partito democratico passa necessariamente per il voto della comunità nera.

Se la corsa di Trump, appena qualche mese fa presa con eccessiva leggerezza e scetticismo dalla “Grand Old Party”, spariglia le carte in tavola in casa Repubblicana, la resistenza di Sanders è una spina al fianco di Clinton. Resta da vedere quali saranno le prossime mosse e, in particolare, gli sviluppi dell’“affaire” delle mail che potrebbero irrompere nella scena politica con la violenza di uno tsunami e travolgere la candidatura dell’ex First Lady che, a differenza del “vecchio” Sanders, pare non essere in grado di trasmettere entusiasmo, calore, passione a chi l’ascolta.

(Flavia Romani/Voce)

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