Cina: il Congresso approva il piano 2016-20 di svolta sull’economia

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PECHINO. – Il Congresso nazionale del Popolo ha approvato il tredicesimo piano quinquennale del 2016-20 che è anche quello della svolta della Cina sul fronte dell’economia, con tanto di misure per incidere e rimodellare in profondità.

L’assemblea legislativa ha fatto proprie le indicazioni fatte dal Partito Comunista che marciano in direzione della “nuova normalità” voluta dal presidente Xi Jinping: con un’economia in affanno e radicali trasformazioni da spingere, tuttavia, “non ci sono motivi tali da impedire alla Cina di raggiungere i target di crescita per quest’anno”.

Il premier Li Keqiang non ha avuto dubbi nel rispondere alle domande sulle difficoltà oggettive che sta vivendo l’economia nel corso della conferenza stampa alla fine dei 12 giorni di lavori dell’assemblea legislativa.

Pechino stima un Pil in progresso del 6,5-7% nel 2016 e nel quinquennio al 2020, a fronte del 2015 chiuso già con un rialzo del 6,9%, ai minimi degli ultimi 25 anni. A questo si aggiungono misure draconiane sulla trasformazione dell’economia dal modello basato su export e manifattura a uno su servizi e consumi.

Il premier ha assicurato che la Cina centrerà i target di crescita puntando sul mix di misure per portare sul medio termine sotto controllo il debito in ascesa, riorganizzare le imprese statali con la falcidia di quelle in dissesto cronico (note non a caso come “zombi”) e completare la riforma dei mercati finanziari.

Li ha escluso un “atterraggio brusco dell’economia. Credo che le riforme daranno ulteriore stimolo a vitalità del mercato e creatività pubblica. Anche con un’economia mondiale debole, con la saggezza e il duro lavoro della nostra gente, saremo in grado di resistere alle pressioni ribassiste”.

Al 2020 l’obiettivo è il raddoppio del Pil e dei redditi pro capite rispetto ai livelli del 2010, concludendo un ciclo alla vigilia dei 100 anni della fondazione del Partito Comunista del 1921: un’impresa non da poco considerando, ad esempio, che i redditi pro capite al 2010 erano di 30.600 yuan, 4.710 dollari.

Li ha spiegato che “riforme strutturali e crescita non sono in contraddizione”, ma hanno per target benefici orientati sul lungo termine. La ristrutturazione, soprattutto nell’industria pesante di Stato, non sarà facile ma molto dolorosa, pur “senza licenziamenti di massa”.

Negli anni ’80 si stima che 30 milioni i tagli che colpirono soprattutto il nordest minerario. Questa volta, considerando i settori carbone e acciaio, la cura è di 1,8 di posti eliminati in 2/3 anni, che salirebbero a quota 5-6 milioni includendo altri comparti in piedi solo per garantire i livelli occupazionali (vetro, cantieri navali, cemento e industria chimica). Nell’acciaio le scorte attuali sarebbero sufficienti al fabbisogno di un anno.

Se il piano al 2020 prevede almeno 10 milioni di nuovi posti di lavoro annui, il premier ha ricordato che il risultato del 2015 è stato di 13 milioni di unità, grazie a città e aree tecnologiche dove la crescita del Pil “è stata a doppia cifra”.

Le perplessità degli analisti ci sono tutte sul rispetto di tempi di marcia e di target: le turbolenze dei mercati (le Borse cedono da inizio anno il 25% circa) non aiutano e la debolezza dello yuan è un problema. Nel giorno del via libera al piano il renminbi è stato piazzato in calo dalla Banca centrale, a 6,5172 sul dollaro, cedendo poi un altro 0,13%.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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