Stretta di Obama sulle imprese che fuggono all’estero

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NEW YORK. – Le regole sono uguali per tutti, anche per le grandi aziende. Barack Obama punta il dito contro le “insidiose” e “ingiuste” tax inversion, ovvero la pratica sempre più usata dalle big di Corporate America per sfuggire al fisco americano tramite fusioni e acquisizioni che consentono di spostare la residenza in Paesi con regimi fiscali più convenienti.

E plaude al Tesoro per la stretta decisa contro le fughe all’estero, con nuove regole per scoraggiare e rendere non redditizie questo tipo di transazioni. Stretta che arriva mentre lo scandalo dei Panama Papers scuote i palazzi del potere a livello globale. Lo scandalo mostra come “l’elusione fiscale è un problema globale”, afferma Obama. La Casa Bianca rassicura però sugli effetti economici della vicenda, e non intravede rischi per la ripresa globale.

Parole dure arrivano anche dall’Ocse. I Panama Papers “hanno gettato luce sulla cultura e sulla pratica della segretezza a Panama”, l’ultima “grossa fortezza che continua a permettere di nascondere fondi offshore alle autorità fiscali e giudiziarie”, mette in evidenza il segretario generale Angel Gurria, ricordando che l’Ocse da tempo ha messo in guardia dal rischio rappresentato da quei paesi non in linea con gli standard internazionali di trasparenza.

Lo scandalo “fa giustizia dei nostri sforzi nella lotta all’evasione”, spiega anche un portavoce della Commissione Europea che, nonostante tutto, non è però ancora riuscita a far passare l’idea di una ‘lista nera’ comune dei paradisi fiscali. Il conto delle inversioni fiscali, afferma Obama, lo paga la classe media: con le aziende all’estero le entrate fiscali dello stato calano, con riflessi sugli investimenti e su possibili sgravi sulle famiglie.

La fuga, inoltre, rischia di far salire l’imposizione sui lavoratori. Un danno quindi doppio per la classe media, già alle prese con una ripresa economica che non riesce pienamente a sentire. Per le aziende che le effettuano, invece, ci sono solo benefici: la sede viene spostata in paesi con aliquote più basse rinunciando sulla carta alla cittadinanza americana, ma continuando però a usufruire di tutti i benefici di avere una forte presenza, invariata rispetto a quella prima della fuga, negli Stati Uniti.

Dopo due ondate di norme senza successo, il Tesoro questa volta alza il tiro: il governo perseguirà i cosiddetti ‘serial inverter’, le grandi aziende create tramite varie operazione di inversione fiscale o acquisizioni di aziende americane. Per rendere meno appetibili le fughe all’estero, inoltre, il Tesoro impone che gli azionisti della società americana debbano avere fra il 50% e il 60% dell’azienda nata dalla fusione, il che obbliga a cercare un partner di taglia adeguata e scoraggia le operazioni in cui una società più piccola acquista quella pià grande americana.

Sopra tale quota si applicano dei paletti, che rendono più difficile l’accesso ai profitti realizzati all’estero. Le nuove regole mettono a rischio la maxi fusione da più di 100 miliardi di dollari fra Pfizer e Allergan, data già per quasi ”morta” dagli analisti.

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