#Ciaone Renzi

Renzi
#Ciaone Renzi

Luca Marfé

Roma e Torino si svegliano sotto un cielo a 5 stelle. Virginia Raggi al Campidoglio e Chiara Appendino ai piedi della Mole. La prima a valanga con un ampio 67.2% (demolito Roberto Giachetti) e la seconda di giustezza con un 54.6% che stende il sindaco uscente Piero Fassino.

Sì, proprio quel Fassino che, in maniera quasi profetica, nel lontano 2009 affermò negli studi di Repubblica TV «se Grillo vuol fare politica, fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende». E sul web già fioccano le parodie.

Il PD salva Milano, con Beppe Sala che la spunta su Stefano Parisi per una manciata di voti, e Bologna, dove Virginio Merola sbarra la strada alla Lega Nord. Luigi De Magistris, invece, distante da molte delle attuali logiche politiche, si tiene stretta la sua Napoli e promette battaglia in chiave anti-governativa ed anti-europeista. Quasi grottesco, infine, il ritorno di Clemente Mastella, eletto sindaco di Benevento. Alla faccia della rottamazione.

Allarmanti le condizioni del centrodestra, apparso allo sbando e privo di una qualsiasi strategia. In particolare, al di là della sonora sconfitta, l’invito a votare 5 stelle in un’ottica anti-renziana è una sorta di gigantesco boomerang che rischia di ritorcersi contro Berlusconi, Salvini e compagnia, considerato che molti di quei voti rischiano di restare nelle “casse” del Movimento anche in occasione delle prossime elezioni politiche. Parlare della necessità di rifondare è poco.

Ma il vero sconfitto di questi ballottaggi, e più in generale di queste amministrative 2016, ha un nome e un cognome: Matteo Renzi.

Si potrebbero riversare fiumi di inchiostro sugli errori politici e sulla scelta dei nomi maturati in casa PD. Alcuni di questi, tanto per esser chiari, suonavano sconosciuti ai più un attimo prima di essere lanciati in mischie importanti, facendo apparire i tempi di un certo Walter Veltroni (di cui personalmente non sono mai stato un accanito tifoso, ma cui va riconosciuta una stima che tende a latitare fortemente nell’attuale scenario italiano) lontani, lontanissimi.

Ed il discorso potrebbe ampliarsi ancor più attraverso un’analisi attenta delle tematiche scelte per sostenere il candidato di turno. Tematiche apparse poco chiare e poco convincenti, anche laddove si è vinto. Lo stesso Sala, nella sua prima conferenza stampa da sindaco di Milano, è apparso scarico e lontano dal carisma dell’uomo simbolo di Expo.

Ma il “nocciolo” della questione è un altro. Perché il vero “ceffone”, oltre a quello dell’astensionismo cui ci stiamo tristemente abituando, gli italiani sembrano averlo voluto tirare all’arroganza del premier.

Senza girarci troppo intorno, l’atteggiamento di superiorità da primo della classe, del nuovo che avanza (a colpi di vecchio, leggi alla voce De Luca in Campania), della riedizione fiorentina del “ghe pensi mi” (“ci penso io”) berlusconiano, si è tradotto in una battuta d’arresto potenzialmente devastante per il Matteo nazionale.

E sì, perché mentre lui e i suoi continuano a minimizzare mettendo l’accento sul carattere locale di queste elezioni, dietro l’angolo c’è un certo referendum costituzionale che vale, oltre alla grande scommessa firmata Boschi, la tenuta stessa del governo.

E, con l’aria che tira, andare ad elezioni politiche sulla base di premesse del genere potrebbe davvero consegnare il Paese nelle mani dei vari Di Maio, Di Battista e del regista di questo grande show, tale Beppe Grillo: comico, politico, milionario che, mentre incassa vagonate di voti dalle borgate di periferia, osserva quella Roma, oramai sua, da un lussuoso albergo in pieno centro storico, senza perdere però quella volontà di inveire contro tutti e contro tutto ciò che possa essere catalogato sotto l’orripilante insegna di “casta”.

Un giochetto che, almeno per il momento, sembra continui a funzionare alla perfezione in un’Italia ogni giorno più insofferente ed intollerante.

Un’Italia da cui, alle volte, fa piacere essere lontani.

Twitter: @marfeluca – Instagram: @lucamarfe

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