Nuovo scontro nel Pd, dieci Dem annunciano “No” al referendum

Minoranza del Pd non firma la richiesta di referendum costituzionale
Minoranza del Pd non firma la richiesta di referendum costituzionale
Minoranza del Pd non firma la richiesta di referendum costituzionale

ROMA – Dieci parlamentari Pd annunciano che voteranno No al referendum costituzionale. Con un documento molto duro non solo sulla riforma ma anche sulla linea del partito, che rompe la ‘tregua’ tra i Dem sulla consultazione d’autunno e apre uno strappo che potrebbe, ammettono fonti di minoranza, allargarsi nei prossimi mesi. Ma la linea non cambia, avverte Lorenzo Guerini:

– Il Pd è per il Sì senza se e senza ma.

Non ci saranno sanzioni per i ‘dissidenti’, anticipa il vicesegretario. Ma non nasconde lo stupore:

– Alcuni tra i sette senatori e tre deputati avevano votato il testo in Aula.

L’atto di rottura si consuma nell’ultimo giorno di attività parlamentare prima delle vacanze estive, una giornata segnata anche dalle dimissioni dei due rappresentanti di minoranza in commissione di Vigilanza Rai, Federico Fornaro e Miguel Gotor, in dissenso rispetto alle nomine al vertice di Tg. Scelte che sollevano il dubbio, accusa Sinistra italiana, che si voglia “asservire la Rai al governo nella campagna per il Sì”.

– Sarebbe patetica – avverte anche Pier Luigi Bersani – una politica che pensasse di garantirsi lo storytelling attraverso i Tg.

Ma dalla maggioranza Pd respingono ogni accusa di ingerenza e definiscono la vicenda come l’ennesimo tentativo della sinistra di minare Renzi e il governo. Un lavoro quotidiano, sostengono i renziani, che potrebbe portare a una ‘escalation’ anche sul referendum costituzionale: i dieci – è il sospetto – potrebbero essere una ‘avanguardia’ e il numero dei ‘dissidenti’ potrebbe allargarsi a settembre. Del resto i bersaniani e cuperliani continuano a invocare modifiche all’Italicum, come condizione per superare i dubbi sulla riforma di un pezzo di Pd.

Tra i dieci parlamentari per il No al referendum si notano i nomi di esponenti della sinistra Dem ma anche di area bindiana: Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco. Non si tratta, spiegano, di un “no al governo” ma del tentativo di dare voce ai Dem che dissentono su una riforma che porta un “bicameralismo confuso” e un “procedimento legislativo farraginoso”.

C’è anche il No a un referendum che, inteso come “plebiscito”, avrebbe come conseguenza un “partito unico di governo” (il partito della nazione), “posizionato al centro”. Ma aggiungono che in caso di vittoria del No il governo non dovrebbe dimettersi. Per il Nazareno risponde il vicesegretario Guerini: esprime “rispetto” per il dissenso ed esclude provvedimenti contro i dissidenti:

– Non siamo una caserma.

Ma aggiunge che “l’unica” linea politica del Pd è quella per il sì alla riforma. Mentre sulle conseguenze per il ‘dopo’ è il sottosegretario Benedetto Della Vedova ad avvertire:

– Il No sarebbe la nostra Brexit.

Intanto sul referendum il capogruppo di Si Arturo Scotto solleva il sospetto che il governo abbia messo da parte un “fondo” denominato “Boschi” da 1,5 miliardi da destinare anche al sostegno alla campagna per il sì.

– Un’accusa fantasiosa dovuta forse alla calura estiva – replica il capogruppo Pd Ettore Rosato – Non esiste nessun fondo Boschi ma un Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili, a disposizione della presidenza del Consiglio, le cui cifre sono note.

Ma Scotto non si dichiara soddisfatto:

– Spieghino a che serve – replica.

(Serenella Mattera/ANSA)

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