L’Italia resta in zona deflazione

L'Italia resta in zona deflazione
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L’Italia resta in zona deflazione

ROMA – L’Italia resta in zona deflazione, con i prezzi di luglio confermati in negativo. E dal momento che non è l’unico Paese dell’Eurozona a flirtare con uno scenario deflazionistico, toccherà nuovamente alla Bce muoversi: ora se lo aspetta anche il Fondo monetario internazionale.

La fotografia scattata dall’Istat, per la verità, non è drammatica. I prezzi sono in calo annuo dello 0,1% a luglio, ma va meglio rispetto al mese precedente (-0,4%) e rispetto al più allarmante -0,5% di aprile. Il ‘carrello della spesa’ monitorato dall’istituto statistico – che di fatto conferma i dati preliminari – segna un +0,4%, accelerando dal 0,2% di giugno. Ma per Mario Draghi e i suoi economisti, è solo l’ultimo tassello di un quadro che si va delineando da alcuni mesi.

Nonostante l’impatto della ‘Brexit’ sia rimasto abbastanza contenuto, e passato l’ostacolo non da poco degli stress test bancari, l’economia dell’Eurozona procede con una ripresa mediamente debole e l’inflazione appare ben lontana dagli obiettivi dell’Eurotower, che già hanno fatto slittare al 2018 il ritorno all’obiettivo dei prezzi al 2%. Se Francia e Germania tengono, la Spagna (che pubblicherà i dati domani) è attesa in deflazione al -0,6%).

E a peggiorare il tutto c’è il prezzo del petrolio, tornato a scendere dopo la recente ripresa, con un -13% in poco più di un mese, mettendo un punto interrogativo sulle previsioni di un’inflazione che si andava gradualmente rafforzando.

Per gli economisti del settore privato, è chiaro che Draghi dovrà rimettere mano al quantitative easing, gli acquisti di titoli (principalmente governativi) partito nel 2015 e finora destinato a raggiungere i 1.700 miliardi di euro. Un’espansione che probabilmente non arriverà l’8 settembre, quando torna a riunirsi il consiglio Bce sulla politica monetaria.

Ma che rischia di arrivare entro fine anno, probabilmente nella forma di un nuovo slittamento della scadenza del Qe, finora fissata a settembre 2017, e con la possibilità di un’ulteriore accelerazione degli acquisti mensili di asset finanziari (erano partiti a 60 miliardi di euro al mese e quest’anno sono saliti a 80 miliardi).

Come la pensino negli ambienti finanziari internazionali – con l’Eurozona che non è neanche il problema principale, visto che il Giappone è risprofondato in deflazione nonostante acquisti stellari di debito – è abbastanza chiaro da un articolo sul blog del Fmi, a firma di due economisti, Andy Jobst e Huidan Lin:

“Ulteriori tagli dei tassi potrebbero indebolire l’efficacia della politica monetaria” (il pensiero va alle banche europee che annaspano e si vedono colpire i margini d’interesse). E dunque, “guardando avanti, la Bce potrebbe doversi affidare maggiormente a più acquisti di asset”.

Nuovi negoziati aspettano Draghi, con i maldipancia tedeschi sul Qe destinati a riaffiorare: sempre più economisti ragionano, data l’ampia indisponibilità di titoli tedeschi i cui rendimenti sono scesi troppo, se non sia il caso di comprare più ‘carta’ italiana, o spagnola, rinunciando alla regola che vuole il Qe proporzionato alla ‘capital key’, la quota di ciascun Paese nel capitale Bce.

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