Parlamento senza poteri, il Venezuela come il Perù di Fujimori o il Nicaragua di Ortega?

Parlamento senza poteri, il Venezuela come il Perù di Fujimori o il Nicaragua di Ortega?
Parlamento senza poteri, il Venezuela come il Perù di Fujimori o il Nicaragua di Ortega?
Parlamento senza poteri, il Venezuela come il Perù di Fujimori o il Nicaragua di Ortega?

Mauro Bafile

Con le spalle al muro. Stando ad esperti in materia, l’ultima decisione della Corte cancellerebbe ogni dubbio, qualora ve ne fossero ancora. Il Parlamento, democraticamente eletto dai venezuelani nel dicembre scorso, sembrerebbe ormai definitivamente svuotato di ogni potere. Nell’autorizzare il presidente della Repubblica a non sottoporre al dibattito, analisi critica e posteriore approvazione del Parlamento, il bilancio preventivo dello Stato per il 2017, il “Tribunal Supremo de Justicia” starebbe negando all’Assemblea Nazionale una prerogativa stabilita dalla Costituzione del 1999.

E’ la prima volta che ciò accade da quando la sommossa popolare del 1958 obbligò alla fuga il Generale Marcos Pérez Jiménez, l’ultima dittatura militare. Nell’era democratica tutti i governi hanno presentato il loro bilancio preventivo al Parlamento, nel rispetto delle regole imposte dalla Costituzione del 1961, prima, e in quella del 1999, poi, e nello spirito democratico che impone la separazione dei poteri.

C’è già chi paragona quanto avviene in Venezuela con quanto accaduto nel Perù di Fujimori – leggasi, dissoluzione del Parlamento il 5 aprile del 1992 – o nel Nicaragua attuale di Daniel Ortega – leggasi, destituzione dei 28 parlamentari dell’Opposizione nel luglio scorso -. In altre parole, quindi, si starebbe alla presenza di un governo autoritario ma non di una dittatura dalle caratteristiche tradizionali. Insomma, di un governo che rispetta la forma ma non il fondo; che tollera l’opposizione, ma ha prigionieri politici; che non proibisce le proteste ma le reprime con uso eccessivo della forza.

Il “populismo autoritario” che ha caratterizzato l’America Latina nell’ultimo ventennio è un fenomeno che oggi è presente con sempre maggior forza anche in altri continenti. La candidatura di Donald Trump, che con il suo discorso xenofobo e reazionario ha distrutto le ambizioni di politici dell’”establishment”; la crescita di organizzazioni che, come in Italia il M5s o in Francia il Fronte Nazionale di Le Penn, hanno dato voce al popolo dei “disillusi”, rappresentano una miscela esplosiva.

Stando a YouGov, prestigioso istituto di sondaggio britannico, il populismo autoritario sta conquistando l’Europa: il 47 per cento in Italia, il 48 per cento in Gran Bretagna, il 50 per cento in Danimarca e in Finlandia, il 55 per cento in Olanda fino al 63 per cento in Francia e al 78 per cento in Polonia. E’ uno tsunami già anticipato dalle tendenze elettorali degli ultimi anni che oggi preoccupa la politica.

In America latina, il “populismo autoritario”, nell’ultimo ventennio, ha avuto facile presa in Argentina, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Venezuela e, in parte, anche in Uruguay. E’ stata una corrente alimentata e sostenuta economicamente dal “chavismo”. In particolare, durante il governo dell’estinto presidente Chávez che attribuiva alla politica estera una grande importanza e curava con particolare interesse la propria immagine di leader a livello internazionale. Oggi, però, è in franca decadenza e i governi di Evo Morales, Rafael Correa, Daniel Ortega e del presidente Nicolás Maduro vivono momenti difficili.

Resta comunque il fatto che il Parlamento non demorde. Dominato da una maggioranza che osteggia il governo del presidente Maduro, continua imperterrito lungo la sua strada. Il confronto tra governo e Opposizione assume ogni giorno toni più aspri e sarà assai difficile per il Vaticano promuovere il dialogo.

E’ vero che gli attori politici si dicono disposti a sedere ad un tavolo ma lo è anche che nessuno pare orientato, almeno per ora, a fare concessioni. E senza queste sarà difficile raggiungereun accordo che permetta di ristabilire gli equilibri democratici.

Stando sempre agli esperti in materia, ogni progresso nell’ambito democratico è legato alla consulta popolare. Cioè al Referendum che, come sostenuto da Eugenio Scalfari nella sua polemica con il filosofo Gustavo Zagrebelsky, rappresenta la principale espressione della democrazia.

Mentre prosegue la diatriba politica, sul fronte dell’economia, il governo, obbligato dalle circostanze, allenta il controllo sui prezzi e sui prodotti. Così, mentre scarseggiano sempre più quelli di prima necessità a prezzi “politici”, è frequente osservare la presenza di generi alimentari e altri beni importati dal Brasile, dalla Colombia, dal Perù, dal Cile, dall’Argentina e dalle isole vicine.

Sono prodotti i cui prezzi superano 10, 20 volte quelli dei beni che il governo distribuisce attraverso i mercati popolari e ora i Clap, quindi non accessibili alla stragrande maggioranza dei venezuelani. Anche così, hanno un loro peso specifico sulla spirale inflazionaria alla quale il governo del presidente Maduro non riesce a porre riparo.

Lascia un commento