Il Pil riparte al Sud, ma nascono i “nuovi poveri”

Una immagine dell'attivita' eruttiva odierna sull'Etna, caratterizzata da boati, emissione di cenere e da una colata che dalla base del nuovo cratere di Sud-Est si dirige nella desertica Valle del Bove, Catania, 12 aprile 2013. ANSA/ ORIETTA SCARDINO
Una immagine dell'attivita' eruttiva odierna sull'Etna, caratterizzata da boati, emissione di cenere e da una colata che dalla base del nuovo cratere di Sud-Est si dirige nella desertica Valle del Bove, Catania, 12 aprile 2013. ANSA/ ORIETTA SCARDINO
Una immagine dell’attivita’ eruttiva odierna sull’Etna, caratterizzata da boati, emissione di cenere e da una colata che dalla base del nuovo cratere di Sud-Est si dirige nella desertica Valle del Bove, Catania, 12 aprile 2013. ANSA/ ORIETTA SCARDINO

ROMA. – Il 2016 sarà un nuovo anno di crescita per il Mezzogiorno, ma a un ritmo dimezzato rispetto all’anno precedente, secondo le previsioni del Rapporto Svimez. Nel 2015, con un aumento del Pil dell’1%, il Sud aveva infatti sorpassato di 0,3 punti il resto del paese e chiuso sette anni di crisi: quest’anno tornerà a inseguire. La crescita si fermerà allo 0,5% nel Mezzogiorno, mentre raggiungerà lo 0,9% al Centro Nord, allargando il divario tra le due aree e accentuando le disuguaglianze tra i cittadini. Già oggi, secondo l’ong Oxfam, l’1% più ricco in Italia possiede un quarto della ricchezza netta.

La Svimez punta il dito in particolare sull’emergenza dei ‘nuovi poveri’, lavoratori qualificati che con la crisi hanno visto peggiorare la propria condizione economica fino al punto che quasi un laureato su dieci che lavora, nel Mezzogiorno, è povero. Si tratta di un problema legato a “un’enorme sotto utilizzazione del capitale umano di giovani e donne e alla strutturale carenza di occasioni di lavoro qualificato”, si legge nel rapporto.

La crescita occupazionale, che pure è al centro della ripresa del Meridione, secondo l’associazione è legata principalmente ai “contratti a termine e part time” e “all’esplosione dei voucher”.

In cerca di migliori condizioni di vita e di lavoro continuano così i flussi migratori che negli ultimi 20 anni hanno portato via dalle regioni meridionali 1 milione e 113 mila persone, più degli abitanti di una metropoli come Napoli. Il fenomeno ha assunto dimensioni tali che la Svimez denuncia sempre maggiori rischi di “desertificazione”.

A partire sono soprattutto i giovani laureati: 478.179 ragazzi sotto i 35 anni che hanno fatto le valige tra il 2002 e il 2014 (secondo gli ultimi dati disponibili) e di questi 133.400 avevano completato gli studi universitari.

Intanto nel 2015 il numero delle nascite al Sud ha raggiunto il livello più basso dall’unità d’Italia, con 170 mila nuovi nati. Nonostante questi fenomeni, “il segnale della ripresa del Mezzogiorno c’è e soprattutto parlerei di una ripresa della vitalità”, afferma il presidente della Svimez, Adriano Giannola, aggiungendo che “questa però va nutrita con investimenti e continuità nei progetti”.

L’associazione chiede una politica industriale per il rilancio del Mezzogiorno che parta dagli aiuti alle imprese a arrivi all’istituzione di zone economiche speciali. Per il governo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, ribatte annunciando che sono già operativi il masterplan e i patti per lo sviluppo del Mezzogiorno.

“Non abbiamo più alibi”, osserva il sottosegretario che definisce il Sud “in piena ripresa” e “una realtà viva con delle eccellenze imprenditoriali, capacità di innovare e di competere”. Sono di avviso diverso sindacati e opposizioni.

“I dati non rappresentano il segnale di una ripresa strutturale”, osserva il segretario confederale della Cgil, Gianna Fracassi, e “la ripresa del Mezzogiorno appare ancora più fragile se la inseriamo nel contesto delle condizioni sociali”.

“I giovani più qualificati del Mezzogiorno continuano a scappare al Nord alla ricerca di opportunità lavorative”, aggiungono i senatori del M5S Nunzia Catalfo, Sara Paglini e Sergio Puglia. Mentre il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, vede nel rischio di desertificazione del Mezzogiorno “la conseguenza di governi che preferiscono occuparsi del sud del mondo ma non del sud d’Italia”.

(di Chiara Munafò/ANSA)

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