Marchio Trump nel mondo, dubbi sul conflitto d’interessi

Marchio Trump nel mondo, dubbi su conflitto interessi
Marchio Trump nel mondo, dubbi su conflitto interessi
Marchio Trump nel mondo, dubbi su conflitto interessi

WASHINGTON. – Secondo un’analisi del Washington Post sono almeno 111 le società legate a Donald Trump che hanno affari in 18 diversi Paesi nel mondo. Dal Sud America, all’Asia, al Medioriente. E il “marchio Trump”, sul cui destino adesso in molti si interrogano dopo l’elezione del tycoon alla presidenza degli Stati Uniti passando in rassegna ipotesi e scenari che sollevano dubbi sui conflitti di interessi che Donald Trump porta potenzialmente con sé alla Casa Bianca.

“Sono molti i rischi diplomatici, politici e persino di sicurezza nazionale nell’avere un presidente che possiede una serie di proprieta’ nel mondo”, ha sottolineato al Washington Post Richard Painter esperto legale di riferimento della Casa Bianca durante la presidenza di George W. Bush.

“Se dobbiamo parlare con un governo straniero del suo comportamento, o negoziare un trattato, o se un paese ci chiede di inviare le nostre truppe a difesa di qualcuno, ebbene dobbiamo prendere una decisione. A quel punto la domanda diventa: ci andiamo perché è nel nostro interesse nazionale o perché c’è un casinò Trump in zona?”.

Così il Washington Post porta come esempio la presenza del ‘marchio Trump’ in Turchia (tra l’altro costato 10 milioni di dollari per affiggerlo su un complesso residenziale di lusso) o un potenziale progetto per la costruzione di un hotel in Arabia Saudita, a parte gli hotel a cinque stelle in Canada e a Panama, i campi da golf di lusso in Irlanda e Scozia, persino il progetto di un resort in corso in Indonesia.

E se le dinamiche del business sono chiare, con diverse società la cui attività ha poi iniettato milioni di dollari della ‘compagnia ombrello’ del presidente eletto, la ‘Trump Organisation’, più complicato è stabilire nero su bianco adesso quali siano i limiti da porre sul piano legale.

Nei giorni scorsi sempre il Wall Street Journal il un editoriale aveva sostenuto che per evitare il conflitto di interessi “la migliore opzione per Trump è liquidare la sua quota nella compagnia” di famiglia, la Trump Organization, e mettere “i proventi in contanti in un vero blind trust”.

Al momento però non è ancora chiaro se il presidente eletto procederà in questa direzione, del resto la più seguita tra molti dei suoi predecessori, da Ronald Reagan ad entrambi i Bush e anche Bill Clinton.

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