I grandi elettori al voto su Trump. Ombre su Tillerson

WASHINGTON. – Senza precedenti. Un concetto che ricorre in queste settimane post-voto negli Stati Uniti. E senza precedenti sarebbe il concretizzarsi di un’ipotesi che vedrebbe il Collegio Elettorale alla fine negare la presidenza a Donald Trump nell’ufficializzazione dei voti dei grandi elettori.

L’ipotesi assume tuttavia i contorni di un auspicio per alcuni: tra chi fa leva sull’accusa dei tentativi di interferenze sul voto da parte della Russia cui l’intelligence Usa attribuisce la regia di cyberintrusioni e tra chi punta il dito contro le scelte controverse che Trump ha annunciato nella formazione del suo governo.

Tra gli ultimi sviluppi l’emergere di documenti che attribuiscono a Rex Tillerson – indicato da Trump per la guida del dipartimento di Stato come successore di Kerry – il ruolo di direttore di un’azienda petrolifera russo-americana con base nel paradiso fiscale delle Bahamas. E’ l’ultima delle sfide elettorali che il tycoon si trova ad affrontare nei giorni che lo separano dal giuramento quale 45/mo presidente degli Stati Uniti, con una folta schiera di critici che sperano in una crisi di coscienza – appunto senza precedenti – tra i 538 che hanno il mandato di eleggere il presidente, Stato per Stato.

In particolare la pressione monta sui 306 repubblicani che l’esito delle urne ha attribuito a Trump nonostante Hillary Clinton lo superi di oltre due milioni di preferenze nel voto popolare. In diversi hanno riferito ai media americani di aver ricevuto in queste settimane migliaia di e-mail al giorno da gruppi anti-Trump, molte di queste autogenerate che presuppongono un’organizzazione e uno sforzo coordinato.

Ma anche il Partito repubblicano e lo stesso ‘fronte Trump’ sembrano essersi attivati, palesandosi presso i ‘grandi elettori’ per assicurarsi la loro lealtà. E sono scesi in campo anche i vip: da qualche ora circola infatti un video in cui volti noti di Hollywood e star della tv (tra cui Martin Sheen, noto negli Usa per aver interpretato il presidente americano nella popolare serie ‘The West Wing’) chiamano alla ‘rivolta’, o quantomeno ad un “voto di coscienza”.

Cambiare idea del resto è possibile, lo dimostra il caso di Christopher Suprun, uno dei grandi elettori del Texas che ha rotto i ranghi e annunciato che si rifiuterà di esprimere il suo voto elettorale a favore di Trump. Nei giorni scorsi ha spiegato in un intervento pubblicato dal New York Times che non se la sente di appoggiare “qualcuno che mostra quotidianamente di non essere degno della presidenza”, suggerendo quindi agli altri grandi elettori di “trovare unità” sul nome di un’alternativa repubblicana a Hillary Clinton e Donald Trump.

Il clima della transizione in corso del resto può risultare poco rassicurante agli occhi di alcuni repubblicani che sperano di rivivere le glorie dell’America reaganiana: “Reagan si rivolterebbe nella tomba”, ha detto non a caso qualche giorno fa Barack Obama citando la presunta approvazione da parte di alcuni repubblicani per il presidente russo Vladmir Putin. L’affondo era ovviamente indirizzato a Trump.

E le ultime rivelazioni su Tillerson in questo senso non aiutano: il Guardian cita documenti del 2001 emersi solo ora tra le rivelazioni di una talpa alla Süddeutsche Zeitung che segnalano Tillerson come direttore della sussidiaria russa Exxon Neftegas dal 1998. Pur non essendo illegale, non era mai emerso prima e può alimentare le critiche sulla sua scelta in vista della conferma della nomina al Senato. Così come l’utilizzo di una sede offshore come le Bahamas, pur legale, può risultare in contraddizione con il messaggio di Trump sul mettere “l’America prima di tutto”.

Difficilmente però la presa di posizione dei cosiddetti “elettori infedeli” avrà l’esito sperato: servirebbe infatti che ad abbandonare Trump fossero altri 36 grandi elettori repubblicani per portare il tycoon sotto i 270 voti elettorali necessari per entrare alla Casa Bianca.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)

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