Dossier su Trump consegnato all’Fbi con l’approvazione di Londra

Il direttore dell'ABI, James Comey
Il direttore dell’ABI, James Comey

NEW YORK. – Il dossier-scandalo secondo cui Mosca avrebbe materiale per screditare e ricattare Donald Trump sarebbe finito nelle mani dell’Fbi dopo il via libera di Londra. E’ l’ultimo risvolto di una vicenda che ora rischia di minare i rapporti tra il premier britannico Theresa May e il nuovo presidente Usa, che fra una settimana esatta si insedierà alla Casa Bianca e che ha definito fin dal primo momento quelle informazioni “false” e costruite ad arte da “avversari politici”.

E’ la stampa inglese – citando ‘fonti americane’ – a svelare come l’Fbi si rivolse al governo inglese per chiedere di mettersi in contatto con Cristopher Steele, l’ex agente dei servizi di Sua Maestà (ma per qualcuno ancora in attività) autore del rapporto su Trump. Rapporto realizzato dopo un lavoro durato mesi di raccolta di informazioni provenienti dalla Russia, attraverso informatori che Steele ha contattato tramite collaboratori locali di lingua russa.

A quel punto – spiega il Telegraph – dall’esecutivo guidato da Theresa arrivò all’ex 007 dell’Mi6 l’autorizzazione a consegnare agli uomini dell’Fbi gli scottanti documenti: una decina di memo a cui è stato aggiunto un sommario per sintetizzarne i contenuti. Contenuti altamente compromettenti per il presidente eletto degli Stati Uniti: dai festini hard in un hotel di Mosca alle tangenti pagate per ingraziarsi le autorità russe in vista di possibili affari, fino ai contatti con l’intelligence di Mosca sull’hackeraggio dello staff di Hillary Clinton.

Altri media britannici, poi, tirano in ballo nell’affaire anche Tim Barrow, neo ambasciatore del Regno Unito presso l’Unione europea, e già diplomatico a Mosca quando Steele vi lavorò come spia sotto copertura. Citando fonti russe e britanniche, il Sun afferma che Barrow sarebbe stato a sua volta informato e in qualche modo coinvolto nell’operazione di dossieraggio. Cosa che il diplomatico ha seccamente smentito.

Negli Usa intanto non si placa la polemica sugli hackeraggi da parte della Russia, soprattutto quelli compiuti per influenzare la recente campagna elettorale. Trump, che nella sua prima conferenza stampa da presidente eletto ha ammesso lo zampino di Mosca, ha promesso che entro 90 giorni la nuova amministrazione sarà in grado di presentare un rapporto completo su quanto realmente avvenuto. La promessa, dunque, è quella di indagare anche sul cyberattacco ai sistemi informatici del partito democratico, arrivando a delle conclusioni prima della fine di aprile.

Nel frattempo i media Usa rivelano come, nei giorni dell’espulsione di 35 diplomatici russi decisa da Obama come rappresaglia per i cyberattacchi di Mosca, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Michale Flynn, sentì più volte l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak. E l’amministrazione Obama sarebbe consapevole dell’esistenza di “frequenti contatti” di questo tipo. Quel che è certo è che il giorno dopo l’annuncio di Obama, Putin, con una mossa giudicata spiazzante da molti, fece sapere che non avrebbe risposto con ritorsioni analoghe.

Nel frattempo è di nuovo bufera sul numero uno dell’Fbi, James Comey. Da più parti – anche il Wall Street Journal in un editoriale – si chiedono le sue dimissioni dopo che il Dipartimento di Giustizia ha deciso di avviare un’indagine sull’operato del Bureau durante la campagna elettorale. L’obiettivo principale è capire se nel riaprire l’inchiesta sulle email di Hillary Clinton a pochi giorni dal voto i vertici dell’Fbi agirono correttamente.

Con un tweet Trump esprime il suo disappunto: “Di cosa si lamenta la gente di Hillary Clinton sull’Fbi? In base alle informazioni che avevano, lei non avrebbe mai dovuto avere la possibilità di correre (per la Casa Bianca, ndr). Colpevole come il diavolo!”.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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