Avanti il premio di coalizione, ma pesa il dibattito nel Pd

Pier Luigi Bersani (D) e Gianni Cuperlo, durante un incontro sul congresso del Partito Democratico organizzato dai firmatari del documento 'Fare il Pd', il 26 settembre 2013 al cinema Farnese di Roma. ANSA/GUIDO MONTANI
Pier Luigi Bersani (D) e Gianni Cuperlo, durante un incontro sul congresso del Partito Democratico organizzato dai firmatari del documento ‘Fare il Pd’, il 26 settembre 2013 al cinema Farnese di Roma. ANSA/GUIDO MONTANI

ROMA. – Inizia in Commissione Affari costituzionali della Camera l’iter parlamentare della legge elettorale, mentre forse già venerdì potrebbero essere pubblicate dalla Corte costituzionale le attese motivazioni della sentenza sull’Italicum. Ma è il dibattito interno al Pd a condizionare quello sul sistema elettorale, con la proposta del ministro Dario Franceschini di attribuire il premio alla coalizione vincente ancora al centro del confronto. E con il pressing dei 40 senatori che in un documento chiedono una legge omogenea per Camera e Senato.

Dopo l’aut aut di Pierluigi Bersani, potrebbe essere rilevante anche per la legge elettorale l’intervento di Matteo Renzi alla Direzione del Pd di lunedì prossimo. Il presidente della Commissione e relatore, Andrea Mazziotti, illustrerà le 18 proposte di legge finora depositate anche se altre potrebbero arrivare nei prossimi giorni. Fi, ad esempio, ha annunciato che ne presenterà una solo dopo che saranno pubblicate le motivazioni della Consulta.

Questa ha intenzione di accelerare e, forse già venerdì (o al massimo lunedì-martedì) soddisferà le attese di tutti. Ma tra le 18 proposte di legge manca quella a cui si sta lavorando da qualche giorno, lanciata venerdì da Franceschini: attribuire il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista che raggiunge il 40%.

La proposta del ministro parte da un triplice obiettivo: tenere unito il Pd evitando una scissione che una legge proporzionale potrebbe favorire; poi trovare una intesa nella maggioranza che sostiene il governo. E infine allargare a Fi. Ma la proposta si fonda su un “lodo”: fare una legge elettorale condivisa, ma poi andare al voto a giugno, come chiedono -con ragioni diverse – Matteo Renzi e Matteo Orfini.

Ma Bersani ha risposto con un “niet” sulla data del voto (ha chiesto urne a febbraio 2018), ed ha alzato la posta sul sistema elettorale, chiedendo l’abolizione dei capilista bloccati, che invece è uno dei fulcri del possibile accordo Silvio Berlusconi. Questi agli interlocutori Dem che lo hanno contattato, ha aperto sull’ipotesi di urne a giugno (ma ad altri ha ribadito di volere elezioni nel 2018). Sul premio alla coalizione hanno lanciato segnali positivi anche Ncd e gli alleati di governo del Pd, e in casa Dem si conta di poter avere il sì anche di Lega e Fdi.

In questo scenario rimarrebbe la contrarietà solo di M5s e Sinistra Italiana, favorevole al proporzionale puro. A questo punto se lunedì alla Direzione del Pd Renzi dovesse cedere e rinunciare al voto a giugno, la proposta del premio alla coalizione diverrebbe più forte. Se Renzi non dovesse fidarsi di Bersani, e rilanciasse la propria posizione, si dovrebbe lavorare ad un altro schema politico.

La richiesta della minoranza “di sinistra” del Pd, di elezioni nel 2018, implica la continuazione della collaborazione con il partito di Angelino Alfano, e anche la coalizione con esso alle urne. Ipotesi che Matteo Orfini vuole evitare: di qui l’insistenza per elezioni anticipate per sancire la fine del rapporto con Ncd.

Il presidente Pd ha presentato una proposta di legge elettorale senza coalizioni, ma con un premio di governabilità di 90 seggi al partito più votato. Ciò consentirebbe al Pd, qualora riuscisse ad essere il primo partito e a prendere il premio, di costruire dopo le urne una coalizione con il solo Pisapia. Uno schema più “di sinistra” che non l’alleanza “da Alfano a Pisapia” proposta dai bersaniani.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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