Allarme delle imprese sul Pil. Confindustria, pesa instabilità politica

ROMA. – Le imprese lanciano l’allarme. La ripresa economica è ancora troppo flebile, “inadeguata” ad uscire dalla crisi e il principale imputato è l’instabilità politica, proprio nel momento in cui tutte le energie dovrebbero essere invece convogliate verso il rilancio dell’economia e dell’occupazione.

Secondo il Centro Studi di Confindustria, nel primo trimestre di quest’anno il ritmo di crescita sarà lento, ben inferiore a quello dell’Eurozona, confermando per l’Italia il ruolo di fanalino di coda dell’Ue. Ed anche i consumi danno segnali di stallo, con una crescita nel 2016 di appena lo 0,1%, in base alle rilevazioni dell’Istat.

Il governo però non ci sta e, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri degli ultimi decreti che completano la riforma Madia della pubblica amministrazione, Paolo Gentiloni puntualizza che il lavoro dell’esecutivo va avanti “con determinazione forse non colta del tutto da qualcuno”.

“Al di là delle discussioni sulla velocità e lentezza delle riforme, – sottolinea il premier rispondendo implicitamente ai rilievi mossi ieri della Commissione europea – il governo prosegue nel suo cammino con decisioni molto rilevanti”. Con il Def ci sarà “un’ulteriore accelerazione”.

Parole a cui fanno eco quelle del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che – partecipando a Parigi ad un panel condiviso con il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis – rassicura sull’impegno italiano “per accelerare le riforme sia nell’introduzione di nuove misure che nell’implementazione di quelle già adottate”.

Anche l’Europa dovrà però fare la sua parte, dando risposte complessive alle crescenti ondate populiste ed optando, insiste, per un “drastico” cambio di strategia, senza il quale c’è il rischio che la Brexit non rimanga un “caso isolato”, ma ci siano “altre uscite”. Il fronte europeo non è però l’unico in cui Padoan deve cercare di mediare.

Nel Pd sta montando la tensione su uno dei capisaldi della strategia del Mef, le privatizzazioni, soprattutto su quella della seconda tranche di Poste. Il collocamento di un’ulteriore 30% è già slittato lo scorso anno per evitare sovrapposizioni con il referendum costituzionale e per aggirare un momento giudicato sfavorevole per i mercati.

Secondo quanto indicato dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, poco più di una settimana fa, l’operazione si sarebbe dovuta quindi concretizzare entro l’estate. Ad essere messa in discussione non è però ora la tempistica quanto la filosofia stessa della privatizzazione.

Nonostante la convinzione del Mef della sua opportunità finanziaria (per ridurre il debito pubblico ma anche, secondo Padoan, per rendere la società più efficiente), un nutrito gruppo di parlamentari dem capitanati dal viceministro dello Sviluppo, Antonello Giacomelli, ha espresso una netta contrarietà. Dopo una riunione a Palazzo Madama a cui ha partecipato anche il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, Camera e Senato hanno deciso di istituire un gruppo di lavoro per approfondire il tema.

L’idea di uno stop sembra dunque prendere sempre più corpo, almeno in questa fase politica di passaggio. I tempi tecnici per l’operazione rimangono comunque larghi, visto che, fanno notare al Tesoro, non si tratterebbe questa volta di un’Ipo, ma della messa sul mercato di un’altra tranche di una società già quotata. La decisione resta però politica.

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