Il Pd trova il compromesso delle primarie il 30 aprile

ROMA. – Dopo un braccio di ferro di 48 ore, il Pd trova il compromesso che mette d’accordo tutti i candidati: le primarie, che sceglieranno il nuovo leader del Pd, saranno il 30 aprile. Con 104 sì, 3 voti contrari e 2 astenuti, la direzione alza il sipario sul congresso a meno di una settimana dall’assemblea che ha segnato la scissione del Pd. “Il partito c’è”, esulta soddisfatto con i suoi Matteo Renzi, di rientro dalla California, sottolineando come si sia trovata una soluzione comune senza forzature nè corse.

Un timing che darà al Pd un leader appena legittimato per la campagna per le amministrative e che chiude definitivamente, tra la protesta dei grillini, la finestra del voto politico a giugno. Non è stata facile la trattativa, guidata da Lorenzo Guerini, dentro la commissione-congresso per decidere la data dei gazebo, nella quale chi si dichiarerà elettore del Pd e con un obolo di 2 euro potrà scegliere il segretario dopo la fase del voto degli iscritti nelle convenzioni dei circoli.

Alla proposta del 9 aprile i renziani hanno trovato un muro da parte dei rappresentati di Michele Emiliano e Andrea Orlando, che volevano maggio. Bocciata anche la proposta del 23 aprile, alla fine, in modo unanime, la commissione ha scelto la data del 30 aprile che consentirà la proclamazione del segretario in assemblea già il 7 maggio, in tempo per la deadline dell’11 maggio quando il nuovo leader firmerà le liste per le amministrative.

Oltre, i renziani e i vari esponenti di maggioranza non sarebbero andati, forti dei numeri in commissione. E così i delegati di Emiliano e Orlando hanno acconsentito ad una data che di fatto allunga di un mese la campagna congressuale. Ad una settimana dall’addio di Pier Luigi Bersani, osservano i fedelissimi di Renzi, il Pd ha dimostrato di avere gli anticorpi per andare avanti.

“E alla fine, con la giravolta di Emiliano, se ne sono andati in pochi e, come dimostrano i sondaggi, la scissione paga loro poco, un magro 3,2”, è il sollievo degli uomini dell’ex premier. Il leader dimissionario, atterrato in serata, non era in direzione come d’altra parte erano assenti anche i principali rivali Orlando e Emiliano, già impegnati nella corsa per recuperare la distanza, molto ampia secondo i sondaggi, dall’ex sindaco di Firenze.

A differenza di alcuni ex diessini che lo sostengono, Renzi, che immagina una “campagna corale” molto sui territori, crede che la candidatura del Guardasigilli gli faccia gioco: magari toglierà voti a sinistra ma dimostrerà all’esterno che la Ditta non è andata via con Bersani e D’Alema.

Orlando, pur non volendo trasformare il congresso in rissa, mette in fila i punti di distanza dall’ex segretario: giudica “difficile” un’alleanza elettorale con Ncd e contesta uno dei pilastri dell’era renziana, il doppio ruolo premier-segretario. Anche perchè, osserva, “nel momento in cui, dopo dicembre, il sistema maggioritario è venuto meno, è sempre più difficile che il segretario del partito di maggioranza relativa sia anche il premier”.

Una separazione che Renzi non prende neanche in considerazione. Anche perchè, se qualcuno aveva ancora sospetti, le primarie il 30 aprile rendono tecnicamente impossibile le elezioni politiche a giugno. Una certezza che fa imbestialire Beppe Grillo, pronto ad attaccare la vittoria del ‘partito del vitalizio’: “Applausi al Pd che è riuscito nel suo piano: rinviare le elezioni a dopo agosto per intascarsi le pensioni d’oro!”, grida il leader pentastellato mentre il Pd gli rinfaccia lo scarso tasso di democrazia con cui M5S, “un partito-azienda”, sceglie i suoi leader.

(di Cristina Ferrulli/ANSA)

Lascia un commento