L’Italia non è un Paese per giovani, indipendenti a 40 anni

ROMA. – La strada dei giovani per rendersi autonomi economicamente dalla famiglia d’origine in Italia diventa sempre più lunga: se nel 2004 a un ventenne erano necessari dieci anni per diventare autonomo nel 2020 saranno necessari 18 anni mentre nel 2030 ne potrebbero servire 28.

In pratica a brevissimo – secondo quanto riporta uno studio della Fondazione Visentini presentato alla Luiss – si raggiungerà in media l’indipendenza economica alla soglia dei quarant’anni mentre tra pochi anni ci si renderø indipendenti dalla famiglia di origine solo a 50, con i capelli grigi.

L’Italia secondo lo studio è penultima in Europa per equità intergenerazione con un risultato migliore solo della Greca. E il dato è confermato dalla lettura dei dati Eurostat che segnalano come nel 2015 fossero al lavoro nel nostro Paese solo il 28,6% degli under 30 a fronte del 47,6% medio degli under 30 dell’Ue a 28 e del 57,7% della Germania.

Se si guarda alla fascia 20-29 anni il dato migliora leggermente con il 40,3% al lavoro (13,2 punti in meno rispetto al 2007) ma resta di molto inferiore a quello Ue a 28 (61,4%) e della Gran Bretagna (74,2%). Tra le donne lavora in Italia in questa fascia solo il 34,5%, il dato più basso di tutti nell’Ue, al livello della Turchia (69,5% la Germania).

Nello studio si propone un patto fiscale per fronteggiare l’emergenza generazionale e ridurre la forbice tra giovani e anziani che preveda una “rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale”.

Sarebbe necessario – scrive la Fondazione – un “contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose”. Questo – spiega – sarebbe “doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico”.

“Sarebbe necessario un patto tra generazioni con un contributo da parte dei pensionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche con un intervento progressivo sia rispetto alla capacità contributiva, sia ai contributi versati”.

Con questo contributo dovrebbe essere possibile definire incentivi fiscali per i più giovani ma anche la costituzione di un Fondo di solidarietà per le politiche giovanili. In particolare bisognerebbe cercare di ridurre il numero dei Neet, ovvero di coloro che non lavorano ma non sono neanche in un percorso scolastico e formativo.

In Italia i giovani in questa situazione nel 2016 erano circa 2,28 milioni con un costo sociale di circa 32,6 miliardi, in aumento di nove miliardi sul 2008. “In questo Paese si parla ininterrottamente dei giovani ma non si fa nulla – ha detto il numero uno della Cgil, Susanna Camusso che ha definito buonista la proposta della Fondazione – si è evitato il conflitto grazie all’ammortizzatore sociale delle famiglie. Il tema vero è il lavoro. Ci vogliono investimenti. Tra la ricerca del lavoro e la stabilizzazione passano 10-12 anni. E’ necessario un piano straordinario per l’occupazione giovanile”.

La situazione dei giovani italiani – ha detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti – “è peggiorata con la deflagrazione della crisi economica, ora per dare una risposta efficace serve un grande lavoro di integrazione delle politiche. Lo studio mette in evidenza una situazione di fatto, si tratta di una dinamica che non è diventata nota solo oggi, ma è lontana nel tempo”.

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