Vacilla la “pax putiniana”, lo zar a un bivio

MOSCA. – La ‘pax putiniana’, costruita pazientemente negli ultimi anni con un enorme dispendio di energie dal punto di vista diplomatico ancor prima che militare, da oggi vacilla. In Siria ma non solo. La Turchia si è infatti sfilata dalla triplice alleanza – formata insieme a Mosca e Teheran per garantire la tregua e il processo di pace attraverso i negoziati di Astana – e oltre ad aver dato il suo benestare all’attacco americano si è detta disponibile a sostenere “altre” azioni da parte degli Usa.

Lo zar si trova ad affrontare il primo stop serio alla sua politica assertiva sin dal contropiede deciso nei giorni della crisi ucraina, culminato con l’annessione della Crimea. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha chiesto la rimozione di Bashar al Assad archiviando così le aperture all’Iran, che invece difende a spada tratta il presidente siriano, confratello dello schieramento sciita in Medio Oriente.

Mosca, su questo punto, è più flessibile: l’interesse per la Siria è geopolitico, il futuro di Assad negoziabile. Tanto è vero che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha precisato che il sostegno della Russia nei suoi confronti “non è incondizionato”.

Ma ieri era ieri. Ora Putin deve decidere se tenere il punto, concedere o rilanciare. L’aspetto militare – ovviamente – non è secondario. La Russia in Siria ha dislocato i suoi sistemi antimissilistici più avanzati, quegli S-300 e S-400 che mezzo mondo vuole acquistare.

I Tomahawk americani hanno attraversato bellamente il loro ombrello protettivo e dunque delle due l’una: o non hanno funzionato o il Cremlino ha dato ordine di non usarli. A domanda precisa Peskov ha risposto con un secco “no comment”. L’ambasciatore siriano a Mosca ha invece chiesto piccato se corrispondessero al vero le affermazioni di Washington di aver informato la Russia prima dell’attacco. E corrispondevano.

Putin dunque ha lasciato campo libero agli americani senza nemmeno avvisare il suo alleato? È solo un gioco delle parti? Trump, questo è certo, ha ripreso in mano la partita e non a caso il Cremlino ha constatato amaramente che le “promesse elettorali” di ‘The Donald’ sulla lotta comune al terrorismo non si sono realizzate. Anzi, “è tutto il contrario”.

Il buon vecchio blocco atlantico si è ricompattato – Turchia compresa – e i movimenti ‘trumputiniani’ (come Le Pen, Salvini e 5stelle) sono frastornati. La missione della settimana prossima a Mosca del segretario di Stato Rex Tillerson, al suo debutto in Russia, non potrebbe cadere in un momento migliore: sarà il vero inizio, dopo mesi di melina, dell’engagement politico fra Mosca e Washington.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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