Nella Via Crucis il dramma delle guerre, migranti, bimbi stuprati

Via Crucis al Colosseo (Foto Sir)
Via Crucis al Colosseo (Foto Sir)

CITTA’ DEL VATICANO. – “L’Ora è dunque giunta. Il cammino di Gesù sulle strade polverose della Galilea e della Giudea, incontro ai corpi e ai cuori sofferenti”, “si ferma qui, oggi. Sulla collina del Golgota. Oggi la croce sbarra la strada. Gesù non andrà più lontano”. E’ qui che “l’amore di Dio riceve la sua piena misura, senza misura”. E noi “non abbiamo più parole”, “siamo disorientati, la nostra religiosità è oltrepassata dall’eccesso dei pensieri di Dio”.

Possiedono anche un evidente valore letterario le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo, presieduta come da tradizione dal Papa al Colosseo, che quest’anno per volontà del Pontefice recano la firma della biblista francese Anne-Marie Pelletier, Premio Ratzinger nel 2014.

L’autrice ha sviluppato i suoi testi non secondo le 14 tradizionali stazioni, e vi spiega l’estremo dell’amore di Dio che muore sulla Croce per sconfiggere il male, oggi incarnato nei drammi delle guerre, dei migranti, delle famiglie lacerate e dei bambini violentati, descrivendo i gesti di alcuni personaggi che figurano nella Passione ed evidenziando anche la presenza femminile, delle “donne del Vangelo”.

Nei temi trattati riecheggiano anche le voci di Caterina da Siena e dell’ebrea Etty Hillesum, del teologo ortodosso Christos Yannaras e di quello luterano Dietrich Bonhoeffer. Profonde, da parte della Pelletier – la prima donna a scrivere le meditazioni della Via Crucis nel pontificato di Francesco, la quarta in assoluto -, le riflessioni teologiche, ma sotto le croce, scrive, “si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti”.

Le 14 stazioni non sono quelle usuali, ma descrivono momenti della Passione dove si ravvede la cattiveria del mondo, il male che “lascia senza voce”, gli uomini, le donne e i bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati. Nel disorientamento di queste realtà c’è il desiderio di Cristo per la salvezza di tutti, c’è Dio che scende “nel profondo della nostra notte” umiliandosi per offrirci la sua misericordia.

Ma c’è anche l’invocazione dei monaci uccisi a Tibhirine, in Algeria nel 1996, che consapevoli della crudeltà umana pregavano “Disarmali!” e “Disarmaci!”. Gesù muore sulla Croce e lascia paura e sconcerto, ma “era necessario” che “Cristo portasse l’infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo”, perché “‘bisognava’ che entrasse in questa obbedienza e in questa impotenza, per raggiungerci nell’impotenza in cui ci ha posti la nostra disobbedienza”.

E si vede come in questi testi risuoni ancora quella “tenerezza di Dio” tanta cara a papa Bergoglio. Alla fine di tutto, con la morte di Gesù, è vero che resta il silenzio, ma ciò che si fa spazio sono ancora la tenerezza e la compassione: è la “dolcezza di Dio e di coloro che gli appartengono”, di Giuseppe di Arimatea, che si prende cura del corpo di Gesù, e delle donne che la Pelletier descrive nell’ultima stazione, mentre preparano i profumi e gli aromi per rendere il loro ultimo omaggio.

Ignare che, all’alba della domenica, sarà proprio a loro che toccherà “la scoperta di una tomba vuota: l’annuncio che lui non è più lì, perché ha spezzato le porte della morte”.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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