Greggio debole, Mosca e Riad studiano il raddoppio dei tagli

Arabia primo produttore mondiale di petrolio. Superati gli Usa
Arabia primo produttore mondiale di petrolio. Superati gli Usa

ROMA. – Il petrolio precipitato vicino ai minimi di un anno mette in allarme Russia e Arabia Saudita, che si dicono pronte a raddoppiare lo sforzo: non solo estendere i tagli alla produzione fino a fine anno ma andare oltre, al 2018, per sostenere i prezzi del barile. Ma l’Opec tentenna e i prezzi non riesco a rimbalzare.

In due comunicati distinti i due maggiori produttori mondiali ipotizzano tagli oltre l’estensione alla seconda metà dell’anno, che dovrebbe essere concordata all’interno dell’Opec alla riunione del Cartello del 25 maggio. “Crediamo che un’estensione per un periodo più lungo contribuirebbe a velocizzare un riequilibrio del mercato”, ha detto in una nota Alexander Novak, ministro dell’Energia russo.

Khalid Al-Falih, il suo omologo saudita, si dice “piuttosto fiducioso che l’accordo sarà esteso alla seconda metà dell’anno e forse oltre” dopo i colloqui con altri Paesi del cartello petrolifero. Una presa di posizione netta – Falih promette di fare “tutto quello che sarà necessario” – che ha inizialmente spinto i prezzi, prima del dietrofront dopo le indiscrezioni secondo cui l’Opec discute tagli maggiori e un’estensione ma non c’è ancora accordo.

E così il greggio segna -0,15% a 46,15 dollari dopo essere piombato, la scorsa settimana, a un soffio dai 45 dollari, ai minimi dal luglio 2016 nonostante gli sforzi dell’Opec. Gli hedge fund, di fronte a un mercato inondato di petrolio da produzione shale (da rocce di scisto) americano che fa viaggiare il pompaggio dagli Usa ai massimi di quasi due anni, sono sempre più scettici: hanno tagliato le loro posizioni ‘lunghe’ (le scommesse al rialzo) sul petrolio ai minimi dall’accordo dell’Opec raggiunto lo scorso novembre, al livello di 450 milioni di barili, mentre le posizioni ribassiste sono salite a 128 milioni di barili.

Pesa anche la produzione in aumento da Paesi in aree instabili, fra cui la Libia, salita a 780.000 barili al giorno ai massimi dal 2014. Uno scenario in cui, in assenza di contromisure, alcuni analisti prevedono un crollo del barile a 40 dollari.

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