Moody’s taglia il rating della Cina, ma Pechino ne contesta il metodo

PECHINO. – La scure di Moody’s colpisce anche la Cina: il rating scende da ‘Aa3’ad ‘A1’, con l’outlook variato da ‘negativo’ a ‘stabile’, scontando i timori sul rallentamento della crescita e sull’aumento del debito governativo proiettato al 40% del Pil per il 2018 e al 45% entro fine decennio. Pechino non ci sta e a stretto giro contesta il metodo seguito e definito “non appropriato” seguito.

Il ministero delle Finanze, in un comunicato, ha obiettato che i punti esaminati “sovrastimano le difficoltà dell’economia e sottostimano le capacità della Cina di rafforzare le riforme strutturali sul lato dell’offerta e di espandere la domanda nel suo complesso”.

La mossa di Moody’s, la prima del genere dal 1989, rimarca le sfide della leadership cinese tra le necessità di sostenere la crescita con l’intervento pubblico e di scongiurare “un rialzo materiale” del debito, a fronte di riforme il cui primo effetto sarà più di rallentare che di accelerare il passo dell’economia.

“Le agenzie di rating sono sempre in ritardo sulle reali condizioni”, osserva Michele Geraci, professore di Finanza alla NYU Shanghai. “Se sommiamo le tre entità del debito della Cina, cioè governo, cittadini e industria, il rapporto debito/Pil è al 320-330%, come quello dell’Italia, un po’ meno della Grecia, più o meno quello della Francia e po’ di più quello tedesco”.

Il rischio default, in assoluto, “non è molto diverso dai Paesi del Mediterraneo: la differenza è che la Cina batte moneta e in questo modo il default non è mai forzato, il rischio è minore”. Gli effetti sul mercato dei bond sono minimi: scambi scarsi e limitati fanno in modo che “la curva dei tassi la decida il governo”. Quello di Moody’s è un segnale “dell’Occidente: se Cina vuole giocare al mercato della finanza internazionale con le sue regole è sbagliato”, conclude Geraci.

La crescita, scrive Moody’s in una nota, sarà relativamente alta, con quella potenziale in caduta nei prossimi anni, mentre l’aspettativa è di una erosione della solidità finanziaria nei prossimi anni. Stesso trend rialzista per indebitamento come prestiti bancari e bond emessi dai governi locali e le imprese a controllo statale (Soe), senza tralasciare le famiglie e società non finanziarie.

Il cambio dell’outlook riflette un mix equilibrato di rischi, col sostegno delle riserve valutarie poco sopra i 3.000 miliardi di dollari. Le Borse hanno accusato il colpo, con Shanghai scesa sotto i minimi dell’anno del 10 maggio, prima di chiudere con un +0,07%.

La mossa di Moody’s, che mette la Cina allo stesso livello di affidabilità di Giappone e Arabia Saudita, cade nel momento meno indicato col presidente Xi Jinping e la leadership impegnati su riforme e stabilità finanziaria sia verso la transizione alla “nuova normalità” sia verso delicato appuntamento di fine anno del 19/mo congresso del Pcc.

La questione è se S&P’s deciderà di seguire Moody’s avendo emesso l’outlook negativo su Pechino a febbraio 2016, ponendo le basi per il downgrade. Attualmente, il giudizio di S&P’s è un gradino superiore a quelli di Moody’s e Fitch.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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