Migranti: a Salerno lo sbarco dei 1.200, ma non c’è gioia

SALERNO. – Un silenzio surreale accoglie i 1216 migranti che sbarcano della nave Rio Segura a Salerno. Al Molo Manfredi si sente solo il rumore delle forti raffiche di vento. Nulla dalla nave: niente risate di felicità per aver toccato terra, nessuna esternazione di gioia o di malinconia per aver lasciato il proprio Paese. Si sente, si fa per dire, solo il silenzio.

I più giovani, vestiti alla meno peggio, affacciati sul bordo della nave e per tutto il tempo, muti e guardinghi, osservano gli operatori sanitari, le forze di polizia, i giornalisti fare il proprio lavoro. Loro, invece, spaesati e stremati, ad attendere senza neanche più la speranza negli occhi. Vengono fatti scendere lentamente, sei, massimo sette persone alla volta. Un primo controllo e poi subito sotto il tendone.

“Almeno per ora – dice il questore Pasquale Errico – non esistono situazioni particolari sotto i profili di polizia”. Pochi i casi di scabbia accertati e isolati sotto un altro tendone in attesa dei sanitari. Quello di oggi è stato il ventesimo sbarco sulle coste salernitane. Ma potrebbe anche essere l’ultimo, almeno per le navi straniere se scatterà il blocco dei porti per le unità cariche di migranti che battono bandiera diversa dal tricolore.

Su questo fronte è stato chiaro il prefetto di Salerno, Salvatore Malfi: “Noi come rappresentanti delle istituzioni – ha detto – eseguiremo ogni indicazione che ci verrà data”. Intanto, per quanto riguarda la macchina organizzativa, il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli, ci ha tenuto a sottolineare quanto la città, grazie alla collaborazione di tutti i settori, risponda sempre in maniera egregia.

“Ormai, però – osserva – la situazione sta assumendo contorni delicatissimi. Questo non è un problema che riguarda solo l’Italia, tutta l’Europa se ne deve fare carico”. Mentre sulla banchina si parlava di accoglienza e problematiche inerenti alla ripartizione sul territorio nazionale, i migranti scendevano scalzi senza neanche preoccuparsi dell’asfalto caldo. Erano assorti nei propri pensieri o forse solo stanchi a causa del lunghissimo viaggio. Ad attenderli un succo di frutta e un panino con pomodori e verdure.

“Sono molto provati – hanno sottolineato alcuni volontari – e non hanno voglia di parlare. Forse, inizieranno a raccontare le loro storie dopo aver fatto una doccia, essersi riposati e aver cenato stasera”. Per loro, in serata, riso con fagioli e pollo con patate.

“Non è facile – aggiungono – che si aprano facilmente. Molti portano dentro i segni di violenze, soprusi, dolori inimmaginabili. Hanno bisogno di tempo per elaborare quello che gli sta succedendo. Non dimentichiamo che nei loro paesi hanno lasciato familiari, amici, affetti che forse non vedranno mai più”.

A bordo anche tredici neonati, assieme a 256 minori e undici donne incinte. In quel silenzio generale, un bambino di appena tre anni è sgattaiolato dal grembo della mamma e ha iniziato a correre sotto la tenda che li riparava dal sole. Giocava e si divertiva con le ombre, ignaro di quello che stava accadendo tutto intorno. Spezzando, con le sue risate di bambino, il silenzio adulto di chi sa e di chi, forse, teme il futuro.

(di Francesca Blasi/ANSA)

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